Alefbet

07. L’Alfabeto Ebraico

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Introduzione alle Lettere ebraiche

L’alfabeto ebraico è detto “abjad”, acronimo dato dalle prime quattro lettere che lo compongono. Questa denominazione, però, è usata anche per indicare gli alfabeti arabo e aramaico.

Per distinguerlo dagli altri alfabeti, viene detto Alefbet, nome che deriva dalle prime due lettere che lo compongono e che è anche la traduzione letterale della nostra parola “alfabeto”.

Secondo archeologi e linguisti, la forma delle lettere dell’alfabeto ebraico è l’evoluzione di un alfabeto arcaico, ritrovato su antiche incisioni ad opera degli egizi, degli assiro-babilonesi e dei fenici.

Tuttavia, gli ebrei sostengono che la forma delle lettere da loro utilizzate e studiate sia la stessa fin dalla notte dei tempi e che tale forma sia stata rivelata da Dio stesso, infatti era già presente sulle Tavole che Mosè ricevette sul Sinai. 

Tale forma, per via del suo valore altamente esoterico, fu tenuta gelosamente nascosta dagli stessi ebrei per più di mille anni e, al suo posto, vennero usate altre figure convenzionali, quelle, appunto, ritrovate dagli archeologi.

Solo dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, ai tempi di Ezra e Nehemia, i Maestri ritennero che fosse giunto il momento di rivelare la vera forma delle lettere con cui Dio creò il mondo, al fine di aumentare la discesa di influssi spirituali in un mondo sempre più malato e sempre più bisognoso d’aiuto.

Rivelarono quindi la scrittura, detta “ktav ashurì”, che non significa “scritto assiro”, come ipotizzato dagli studiosi laici, ma “scritto beato”, cioè scrittura benedetta, fonte di piacere e gioia (osher).

Sia come sia, una cosa è davvero fondamentale: l’ebraico si scrive e si legge da destra verso sinistra. Abituati.

 

I Niqqud

L’Alefbet  è composto da 22 lettere, tutte consonanti. A onor del vero, due lettere, Vau e Yod, sono semiconsonanti, ma poco cambia.

Le vocali sono rappresentate dai niqqud, cioè i puntini e le lineette tracciati sopra o sotto le varie lettere e si pronunciano dopo la consonante, cioè la lettera stessa. 

Tuttavia, i Testi Sacri ci sono pervenuti senza niqqud che sono stati inseriti da un gruppo di studiosi detti Masoreti, cioè “tradizionalisti”, che ci lavorarono all’incirca dal secolo VII al secolo XI dC. Ebbene si, quattrocento anni a mettere puntini e lineette. 

Il problema era che l’Ebraico è stata una lingua morta più o meno dal 400 a.C. fino al secolo XIX. Ci sono studiosi che dicono che l’Ebraico non morì mai eccetera eccetera. Sarà anche vero, ma resta il fatto che i niqqud non c’erano e sono stati inseriti per  ricostruire la pronuncia originale, cioè per poter leggere il testo ad alta voce. 

Ora, pur onorando col massimo rispetto il meticoloso lavoro dei Masoreti, darei per scontato che né tu né io vogliamo diventare lettori ufficiali in una Sinagoga. 

Inoltre, se ci vollero più di tre secoli per creare una Bibbia masoretica, significa che il lavoro non è stato facile e le incertezze erano molte.

Dunque, con buona pace dei Masoreti, consiglio di prendere il testo biblico originale insieme all’onere di passare al vaglia i diversi significati dei vocaboli.

Certo, ma quindi come risolviamo il problema di leggere qualcosa che pare un codice fiscale, ti starai chiedendo. All’italiana. Anzi, alla greca. In mano ai Greci, o forse anche prima, cinque lettere furono promosse a vocali: Alef e Ayn, che non hanno un suono proprio ma servono per appoggiare la vocale seguente, diventano rispettivamente A e O, la He diventa E, la Yod diventa I e la Vau diventa U. 

Il Daghesh

Vi sono inoltre cinque lettere che hanno una doppia pronuncia, una dura e una morbida, che viene indicata con un puntino al centro della lettera, detto daghesh:

Bet: forma base V, con daghesh B

Ghimel: forma base GH, con daghesh è una G morbida

Dalet: forma base DH, con daghesh D

Kaf: con daghesh K, senza daghesh diventa una X, o CH, ovvero una H molta aspirata, diciamo l’equivalente della J della parola Juan in spagnolo

Peh: forma base F, con daghesh P

Tau: forma base Th, con daghesh T

 

Le Lettere Sofit

Vi sono cinque lettere che cambiano forma quando vengono scritte alla fine di una parola (sofit): Kaf, Mem, Nun, Peh, Tsade.

Queste lettere cambiano anche il loro valore numerico, come riportato nella tabella, tuttavia esse non vengono contate come ulteriori caratteri dell’alfabeto ebraico, che rimane dunque di 22 lettere.

Questo numero è molto importante per i cabalisti, in quanto 22 è la circonferenza, approssimata per leggero difetto, di un cerchio il cui diametro è 7, uno dei numeri-chiave della Creazione.

 

Forma, Suono e Funzione

Prima di tutto, occorre considerare ogni lettera come forma: partendo dall’ideogramma, ovvero dall’idea che tale forma rappresenta, si giunge al simbolo che rappresenta tale idea e, semplificandolo, si ottiene il segno. 

Successivamente, si considera il fatto che ogni lettera ha un nome, anch’esso correlato al simbolo e, pertanto, possiede in sé un valore evocativo peculiare, in quanto esprime un’idea specifica mediante una vibrazione fonetica particolare ad esso associata.

Quindi, possiamo affermare che l’idea rappresentata da ogni lettera si manifesta mediante due principi: la forma e il nome. La forma stabilisce la struttura, il nome indica l’essenza vibrazionale.

Per mezzo del segno (cioè della forma) e del nome (cioè del suono), è possibile identificare ed interferire con l’idea.

Infine, essendo l’alfabeto ebraico un alfabeto alfanumerico, ogni lettera è anche un numero. 

Il numero, prima ancora di essere considerato come valore matematico, ha proprietà rappresentative di una determinata funzione universale, che è esattamente l’idea in azione.

La forma, il nome e la funzione sono dunque tre aspetti dell’idea e, come tali, devono essere considerati simultaneamente.

A questo punto è facile intuire che la meditazione su ogni singola lettera dell’alfabeto ebraico agisce attraverso la vista, l’udito e l’intelletto, la triade più importante dell’apparato conoscitivo umano.

 

 

L’Alfabeto ebraico nell’Albero della Vita

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Albero della Vita nell’ebraismo
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Albero della Vita di Athanasius Kircher

Le Lettere rappresentano le Vie sull’Albero della Vita, ma la loro disposizione è piuttosto variabile.

I cabalisti che studiano il Sefer ha-Yetzirah collocano, nell’Albero della Vita le 3 Lettere Madri in corrispondenza ai tre canali orizzontali, le 7 Lettere Doppie ai 7 canali verticali e le 12 Lettere Semplici ai 12 canali diagonali.

Tuttavia, nelle maggiori scuole esoteriche (ad esempio la Golden Dawn), viene usato l’Albero della Vita ideato da Athanasius Kircher, un gesuita, filosofo e storico tedesco del XVII secolo, in cui la disposizione dei tre gruppi di lettere sui Canali orizzontali, verticali e diagonali viene totalmente ignorata.

La differenza fondamentale tra queste due rappresentazioni è che nell’Albero rappresentato nell’ebraismo vi è l’isolamento della Sefirah Malkuth, collegata solo tramite il Sentiero di Tau, mentre gli altri due Sentieri che nell’Albero di Kircher collegano Malkuth a Hod e Netzach, nell’Albero ebraico collegano le Sefirot Binah-Chesed e Chochmah-Geburah.

Una spiegazione relativa a queste due forme diverse dell’Albero della Vita viene data da un Maestro contemporaneo, Nadav Crivelli, il quale spiega che vi è un Albero della vita attuale (quello con Malkuth isolata) ed uno futuro (quello con Malkuth integrata), che però sarà applicabile dopo la rettificazione.

 

L’Alfabeto ebraico nella Torah

Le prime parole della Torah, sono: 

בראשית ברא אלהים את

BERESHIT BARA’ ELOHIM ET

che tradotto parola per parola:

ALL’INIZIO CREO’ DIO IL

Il termine את ET, tradotto con l’articolo determinativo “il”, è scritto con le lettere Alef-Tau che sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico. 

Possiamo interpretare il verso dicendo che, all’inizio, Dio creò Alef-Tau, cioè l’alfabeto, con tutte le sue lettere, dalla prima all’ultima, come dire l’alpha e l’omega.

Dunque, tutto è stato creato con le lettere dell’Alefbet. Il fatto che queste lettere siano proprio 22, è dato dalle iniziali delle prime due parole della Torah: “Bereshit Barà” (All’inizio Creò), Bet (che ha valore 2) accanto a Bet, dunque 22.

Nelle Scritture, il termine את ET è stato interpretato dai masoreti in vari modi:

  • אֵת eth è una preposizione che denota prossimità (vicino a, con)
  • אֵת ayth è un sostantivo maschile che indica un vomere, una zappa, o comunque uno strumento di scavo che permette di incidere la terra
  • אָת awth è sostantivo femminile che denota un segno, un portento

Il termine את ET è usato anche come pronome femminile “tu, te”, utilizzato quando Dio contempla la sua Creazione: “Tu, mia diletta”.

Per i saggi dell’ebraismo, le lettere della lingua ebraica sono strumenti molto potenti.

La parola אות “lettera” in ebraico si pronuncia “OT”, scritto Alef Vau Tau: le lettere Alef e Tau sono la prima e l’ultima dell’alfabeto, unite da una Vau, che è simbolo di estensione e connessione.

Questa parola, אות OT, letteralmente significa “battito, pulsazione, segno”, intendendo implicitamente una frequenza molto alta che, una volta pronunciata, va ben oltre la vibrazione fonetica.

Le lettere dell’alfabeto ebraico sono potenze vibrazionali universali, ed ognuna di esse deve essere considerata sotto molteplici aspetti per riuscire a comprenderne il valore intrinseco.

 

L’Alfabeto ebraico nel Sefer Yetzirah

Il testo giudaico più importante che tratta le Lettere dell’Alefbet è il Sefer ha-Yetzirah, un testo tanto breve quanto complesso, di cui esistono diverse versioni, di cui ne vengono maggiormente considerate quattro:

La Versione Breve. Commentata da Donash ibn Tamimnel nel 956.

La Versione Lunga. Di questa versione esiste anche un manoscritto completo, databile a partire dal X secolo. Sebbene vi siano importanti differenze nell’assegnazione del valore delle lettere e dei pianeti, la Versione Lunga è molto simile alla Versione Breve. Della Versione Lunga fu scritto un commento da Rabbi Shabbatai Donnolo nel 946, Chakamoni.

La Versione di Saadia. Si trova anche in alcuni antichi frammenti della Geniza. Fu scritta nel 931 da Saadia Gaon, uno dei filosofi e leader religiosi più importanti della sua epoca. Somiglia molto alla Versione Lunga, tranne per il fatto che le stanze si trovano in un ordine completamente diverso. Questa variante è stata quasi totalmente ignorata dai cabalisti.

La Versione del Gra. Attorno al 1550, Rabbi Moshe Cordovero, leader della scuola di Safed, riordinò i dieci migliori manoscritti disponibili. Una generazione più tardi, il testo venne ulteriormente rifinito dall’Ari (Rabbi Yitzchak Luria), uno dei più grandi Cabalisti di tutti i tempi.

Questo testo, noto come Versione dell’Ari, fu pubblicato numerose volte, di solito come parte di qualche altra raccolta. In molti aspetti somiglia alla Versione Breve, ma esistono alcune differenze molto significative nelle designazioni. In generale, la Versione dell’Ari è l’unica che concorda con lo Zohar.

Tuttavia, perfino in questa versione furono trovate numerose variazioni e la redazione di un testo definitivo e ultimo venne eseguita dal Gra (Rabbi Eliahu, Gaon di Vilna) nel XVIII secolo. Questa è nota come Versione Gra-Ari, o semplicemente, Versione del Gra.

Se si contassero tutte le varianti trovate nei manoscritti ci sarebbero letteralmente dozzine di versioni differenti del testo del Sefer Yetzirah. Alcune potrebbero provenire da scuole diverse che non comunicavano tra loro, trattandosi di insegnamenti segreti.

Persino alcune note a margine nei manoscritti e diversi commenti sembrano essere stati incorporati nel testo, producendo varianti differenti.

Per di più, se effettivamente il testo fu tramandato oralmente per un lungo periodo di tempo, potrebbero essersi sviluppate delle varianti anche nell’ordine di disposizione delle sue parti.

Come se tutto ciò non bastasse, esiste anche un’altra possibilità, suggerita dal fatto che, durante il periodo gaonico (VI-X secolo), i Cabalisti riservarono i loro insegnamenti a società segrete molto ristrette. 

Considerando che veniva data una grande enfasi alla necessità di mantenere la segretezza affinché i loro insegnamenti non cadessero in mani inappropriate, i leader di queste scuole potrebbero avere deliberatamente divulgato versioni spurie, in modo da confondere chi avesse tentato di penetrare i loro misteri.

Con diverse versioni in circolazione, i non iniziati non avrebbero saputo quale scegliere, mentre i Cabalisti conservarono il testo corretto, nascondendolo agli estranei.

Sul Sefer Yetzirah sono stati scritti oltre ottanta commenti. Alcuni, specialmente i primi, erano principalmente a carattere filosofico. 

Quando il Bahir e lo Zohar furono pubblicati, i commentatori si misero all’opera per adattare il Sefer Yetzirah al sistema di questi antichi testi. 

Ad ogni modo, nel Sefer Yetzirah, le lettere dell’alfabeto ebraico vengono suddivise in vari gruppi, in relazione a diversi criteri.

La prima suddivisione si basa sui cinque organi coinvolti nell’atto di pronunciarle. Abbiamo quindi:

  • Gutturali: Alef – He – Chet – Ayin
  • Palatali: Ghimel – Yod – Kaf – Qof
  • Linguali: Dalet – Teth – Lamed – Nun – Tau
  • Dentali: Zayin – Samek – Shin – Resh – Tsade
  • Labiali: Bet – Vau – Mem – Peh

Successivamente, il Sefer Yetzirah suddivide le lettere in tre gruppi, identificando 3 Lettere Madri, 7 Lettere Doppie e 12 Lettere Semplici.

Tale suddivisione corrisponde rispettivamente a:

  • 3 Lettere Madri – Alef, Mem, Shin – corrispondono agli elementi mobili: Aria, Acqua e Fuoco (l’elemento Terra è considerato inerte, inoltre non è associato ad alcuna lettera in quanto il nostro mondo è, di per sé, il mondo della materia, associato con la Sefirah Malkuth).
  • 7 Lettere Doppie – Bet, Ghimel, Dalet, Kaf, Peh , Resh, Tau – corrispondono ai 7 pianeti (nell’antica astrologia ancora non erano stati scoperti Urano, Plutone e Nettuno). Inoltre, le 7 Lettere Doppie corrispondono anche a 7 coppie di virtù e vizi, e alle 7 porte (orifizi) del nostro corpo.
  • 12 Lettere Semplici – He, Vau, Zayin, Chet, Teth, Yod, Lamed, Nun, Samekh, Ayin, Tsade, Qof – corrispondono ai 12 segni zodiacali, i quali corrispondo a 12 organi del nostro corpo e a 12 sensi ad essi associati.

Ciò che varia da una versione all’altra del Sefer Yetzirah e nei commentari, sono proprio tali corrispondenze.  

Si è così giunti ad accettare che le analogie e le corrispondenze relative ai 22 archetipi dell’Alfebet non siano fisse e ciascun individuo possa trovare ispirazioni soggettive altrettanto valide. Del resto, la cosa fondamentale non sarebbe il sistema analogico in sé, ma bensì farlo girare, cioè renderlo funzionale ed operativo.

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