6- L’Unificazione delle Due Terre
7-Il Ciclo della Vita e della Morte
5. Horus – Il Figlio
A coronamento del concludersi della genesi egizia, dal Nun che contiene in potenza le coppie dei Quattro Elementi, dai quali scaturiscono i primi quattro Dèi Osiride Iside Seth e Nefty, emerge l’Intelletto, inteso come Volontà e Conoscenza, Quinto Elemento. Esso è Horus, figlio della coppia Iside e Osiride.
Il cinque si scriveva come un due (II) sopra al tre (III), inglobando così i principii di polarità e riconciliazione. Tutti i fenomeni, senza eccezione, sono polari per natura e tripli per principio. Due rappresenta il potere della molteplicità, il ricettacolo femminile e mutevole, mentre il tre simboleggia il maschio.
Plutarco confermò nel V Volume dei Moralia come il Cinque fosse la chiave per comprendere l’Universo manifesto:
«Tre [Osiride] è il numero impari e perfetto; il quattro è un quadrato la cui base è il primo pari, due [Iside]; il cinque [Horus] è in qualche modo simile al padre e in qualche modo simile alla madre, composto com’è dal tre e dal due; di più “panta” (tutte le cose) è derivato da “pente” (cinque); ed essi esprimono il calcolare attraverso il “contare per cinque elevato al quadrato”».
Il Cinque determina la Creazione, perciò può essere definito il primo numero universale: è il numero che concepisce, accelera, sviluppa e realizza tutte le cose percepite e previste dal Progetto Creativo.
Una proprietà particolare del Cinque è di essere il primo numero ricorrente, detto anche sferico. Ciò significa che, se viene moltiplicato per sé stesso, riporta sempre a sé stesso e se il risultato viene moltiplicato ancora per sé stesso, riporta di nuovo alla sua essenza. E così all’infinito.
La sequenza della creazione numerica di Iside, seguita da Osiride, seguita da Horus è 2, 3, 5.
1 Atum
2 (1+1) Iside
3 (1+2) Osiride
5 (3+2) Horus
8 (5+3) Thot
13 (8+5)
21 (13+8)
34 (21+13)
55 (34+21)
89, 144, 233, 377, 610, . . .
Questa serie sommatoria, conosciuta anche come Sequenza di Fibonacci, si ritrova in tutti gli aspetti della natura. Ad esempio: il numero dei semi in un girasole, i petali di un qualsiasi fiore, la disposizione delle pigne, lo sviluppo della conchiglia del nautilo, …
Horus è associato al numero cinque poiché è il quinto, dopo Iside, Osiride, Seth e Nefti.
Il suo nome significa “Colui che è al di sopra” e rappresenta il principio divino realizzato. In effetti, Horus è la personificazione della meta di tutti gli insegnamenti iniziatici e viene sempre raffigurato mentre accompagna l’anima realizzata alla Sorgente.
Horus è anche il numero cinque nel triangolo rettangolo 3:4:5.
Nel capitolo 78 del Libro del Ritorno nel Giorno, erroneamente noto come il Libro dei Morti, Horus dichiara:
«Io sono Horus nella gloria; Io sono il Signore della Luce; Io sono il vittorioso;
… Io sono l’erede del tempo infinito; Io sono colui che conosce le vie del cielo».
Nell’Antico Egitto, una stella veniva disegnata con cinque punte, perciò era simbolo sia del destino che del numero cinque e veniva inscritta nel Sacro Cerchio di Ra.
Lungo tutta la storia del popolo egizio, le stelle a cinque punte sono state scritte nei templi e nelle tombe. Esse infatti rappresentavano le case delle anime dei defunti, come viene affermato nei Testi funerari della Piramide di Unis (noti come Testi delle Piramidi), verso 904:
«… essere un’anima come una stella vivente…».
Le cinque forme di Horus sono:
Hor-Sa-Auset (Horsiesis o Harsiesis), che significa Horus figlio di Iside. E’ rappresentato come un bambino allattato da Iside in modo identico alla successiva rappresentazione cristiana della Madonna col bambino. Nella vita di una persona, questa è l’età della totale dipendenza.
Heru-p-Khart/Hor-Pa-Khred (Arpocrate) che significa Horus il bambino. E’ rappresentato con l’indice in bocca, per simboleggiare la presa di conoscenza. Questa è l’età dell’apprendimento, caratterizzata dalla curiosità.
Horus Behdetyor (Apollo) è l’Horus che vendicò la morte del padre e si levò in cielo sotto forma di disco alato. Rappresenta la fase della vita in cui lavoriamo e lottiamo per raggiungere i più alti regni spirituali, in modo da volare in cielo vittoriosi. Le raffigurazioni di Horus Behdety si trovano nella maggior parte delle strutture dell’Antico Egitto, ma soprattutto nel Tempio di Edfu.
Heru-ur (Haroeris/Harueris) che significa Horus il Vecchio, l’Antico, oppure Horus il Grande. E’ raffigurato come una divinità maschile dalla testa di falco che indossa la doppia corona. Rappresenta la fase del raggiungimento dell’età della saggezza, e da qui l’appellativo di Horus il Vecchio. Horus il Vecchio è raffigurato in numerosi templi dell’Antico Egitto, ma maggiormente a Kôm Ombo.
Hor-Akhti/Horachty (Harmakis), che significa Horus sull’Orizzonte/dell’Orizzonte – una forma di nuovo sole del mattino. Hor-Akhti significa rinnovamento/nuovo inizio, un nuovo giorno. Questo si manifesterà sotto forma di Ra-Hor–akhti.
Gli antichi egizi concepivano Osiride e Horus come un continuum: del resto si tratta propriamente del figlio che succede al padre. Seth è il traditore di Osiride e l’oppositore di Horus, che vuole vendicare il padre.
All’inizio Horus l’Antico, divinità ieracocefala (dalla testa di falco) governava l’Egitto settentrionale, nella sua capitale Behedet, mentre Seth regnava al sud, dalla città di Ombos.
I due rappresentavano il regno suddiviso in due parti, senza che nessuno riuscisse a prevalere sull’altro, nonostante tra loro ci fosse una lotta costante, così tutto si manteneva in perfetto equilibrio.
Horus l’Antico rappresentava le potenze luminose del giorno, mentre Seth la sua controparte necessaria e notturna.
Un giorno però, durante uno scontro, Seth riuscì a strappar via l’occhio sinistro di Horus, scagliandolo lontano, dove nessuno sarebbe riuscito a ritrovarlo.
In quel momento la notte divenne completamente buia: la luna (che è considerata l’Occhio di Horus) era scomparsa, e questo gettò nella disperazione non solo i due combattenti, ma anche chiunque altro stesse guardando il cielo.
Horus, sfregiato ed accecato dal dolore, passò al contrattacco, colpendo Seth ai testicoli e ferendogliene uno irrimediabilmente, così Seth non ebbe mai figli.
A questo punto Horus si rivolse al più saggio tra gli dèi, Thoth, il quale chiamò a raccolta trenta divinità, chiedendo di cercare l’Occhio di Horus in ogni dove.
Ben presto furono depositati davanti ad Horus ben 64 pezzi del suo occhio argentato andato in frantumi. Thoth non si fece certo cogliere dal panico e suggerì di mettersi al lavoro per ricomporlo.
L’Occhio di Horus ricomposto viene chiamato anche Wadjet ed il suo simbolo è scomponibile in sei geroglifici che ne rappresentano solo una parte ciascuno e, se messi assieme, lo ricreano per intero.
Interessante è il fatto che questi frammenti indichino anche i cinque sensi più uno:
- la parte sinistra dell’occhio, che misura 1\2, quando si trova da sola rappresenta il senso dell’olfatto,
- la parte destra misura 1\16 e rappresenta l’udito
- la pupilla, che consiste in 1\4 del simbolo, naturalmente è collegata alla vista,
- il sottile sopracciglio che forma 1\8 è il pensiero.
- i due segmenti che completano il geroglifico, come due linee sotto l’occhio, una verticale e l’altra obliqua, rappresentano rispettivamente il tatto (1\32) ed il gusto (1/64).
Tuttavia, sommando assieme tutte le frazioni, non si ottiene un intero, ma un totale di 63/64. Allora Thoth aggiunse l’ultimo frammento, che rappresenta l’imponderabile, la magia, l’elemento mistico ed imperscrutabile.
Riavuto il suo Occhio, Horus tornò in battaglia e sconfisse lo sterile Seth esiliandolo nell’arido deserto.
Quindi unificò i due Regni sotto la propria unica egidia.
Il Wadjet era utilizzato sia come simbolo di protezione che come unità di misura.
Talvolta è detto erroneamente Occhio di Ra, a causa del sincretismo delle divinità Ra e Horus, in quanto il primo rappresenta il concetto del Sole, mentre Horus è il concetto del Sole risorto.
6. L’Unificazione delle Due Terre
Wadjet è anche il nome della dea serpente, protettrice del Basso Egitto, come la dea avvoltoio Nekhbet lo era dell’Alto Egitto.
Così, sul copricapo dei faraoni abbiamo le due corone, a rappresentare l’unione delle Due Terre.
Il mondo accademico occidentale ha riconosciuto geograficamente questi due territori, attribuendo l’unione governativa di essi a colui che, presumibilmente, è stato il primo re-faraone, Narmer.
Narmer, o Menes, che alcuni considerano anche il mitico Re Scorpione, è il primo regnante di cui si hanno notizie, vissuto all’incirca tra il 3150 e il 3125 a.C., dunque oltre 5000 anni fa.
Ora: è vero che è passato molto tempo, ma non vi è un solo riferimento in tutta la storia dell’Antico Egitto a noi conosciuta che confermi questa nozione o che indichi un qualche tipo di confine tra l’Alto e il Basso Egitto.
Non è che magari il riferimento alle Due Terre fosse puramente simbolico? Ad ogni modo, anche qualora fosse esistito un tale confine geografico, ciò non toglie certo la visione simbolica che di certo non mancava agli antichi Egizi.
Le Due Piante
In ogni tempio dell’Antico Egitto si trovano molte rappresentazioni simboliche che fanno riferimento all’Unificazione delle Due Terre, in cui si vedono le due divinità Horus e Thoth impegnate a legare lo stelo di un bocciolo aperto con lo stelo di un bocciolo chiuso.
Si pensa che si tratti di piante di papiro e di loto, ma nessuna di queste piante è originaria di una specifica area in Egitto. Entrambe si trovano alternate lungo i perimetri delimitanti, in tutte le epoche della storia egiziana.
Inoltre, nelle scene raffiguranti delle paludi si trovano entrambe le forme, quella aperta e quella chiusa.
Sia come sia, vale di certo la pena considerare che la forma chiusa rappresenta ciò che è metafisico, nascosto, non-manifesto, mentre la forma aperta rappresenta ciò che è fisico e manifesto.
Horus e Thoth
Una delle applicazioni più evidenti della dualità nei monumenti dell’Antico Egitto, è l’azione combinata di Horus e Thoth, raffigurati in molte immagini mentre eseguono simbolicamente l’Unione delle Due Terre.
Horus rappresenta la coscienza, la mente, l’intelletto, ed è identificato con il cuore.
Thoth rappresenta la manifestazione tangibile, ed è identificato con la lingua.
Nelle tradizioni dell’Antico Egitto, le facoltà attive di Atum erano l’intelligenza, che veniva identificata con il cuore e rappresentata come Horus – un Neter (dio) solare – e l’azione, identificata con la lingua e rappresentata come Thot – un Neter (dio) lunare. I Neteru solari e lunari sottolineano la natura universale di Atum.
Nella Pietra di Shabaka, che risale all’VIII secolo a.C, ma è una riproduzione di un testo della III dinastia, si legge:
«Ha preso forma nel cuore (di Horus), e ha preso forma nella lingua (di Thot), come immagine di Atum … Pensando con il cuore e comandando con la lingua ogni cosa che egli desidera».
I Gemelli delle Due Terre
Il termine Due Terre è molto familiare agli egiziani che credono fortemente nell’esistenza di due regni, quello in cui viviamo e un altro in cui vivono dei nostri gemelli identici, ma di sesso opposto.
Dunque, ognuno di noi ha una sorta di “gemello siamese” da cui è stato separato alla nascita e a cui si riunirà dopo la morte. Tale unione, essendo tra sessi opposti, è considerata come una sorta di matrimonio.
Sposarsi equivale a stringere un nodo, cosa che ricorda molte immagini simboliche dell’Antico Egitto dell’atto di annodare le Due Terre.
Nei testi Testi della Piramide di Unis, conosciuti come i Testi delle Piramidi, leggiamo come il faraone Unis (2356-2323 p.e.v.) si unisca/congiunga con Iside subito dopo aver lasciato il regno terreno. Questo si basa sulla premessa che ogni uomo è Osiride nel suo stato “defunto”, ciascuno si unisce alla sua controparte Iside (nel caso di un uomo) al momento della dipartita terrena.
Il Numero Sei
Sono necessari cinque elementi per spiegare la Creazione, ma è il sei che fornisce la struttura per realizzarla. Tale struttura è il Tempo e lo Spazio, entrambi costituiti da tre dimensioni: passato, presente e futuro, lunghezza, larghezza e altezza. In pratica potremmo dire che sei è il numero del Mondo.
Il cinque (coscienza) diventando sei crea il Tempo e lo Spazio.
Il Tempo. Tutto ciò che riguarda il tempo era ed è basato sul numero sei o sui suoi multipli. L’intera giornata era/è di 24 (6 x 4) ore, e consiste di 12 (6 x 2) ore di giorno, e 12 (6 x 2) ore di notte. L’ora era/è composta di 60 (6 x 10) minuti, e in un minuto c’erano/ci sono 60 secondi. Il mese era/è di 30 giorni (6 x 5). L’anno era/è di 12 mesi (6 x 2). Il Grande Anno dello Zodiaco conteneva 12 ere zodiacali (segni).
Lo Spazio o Volume. Per definire lo spazio sono necessarie sei direzioni di estensione: sopra e sotto, davanti e dietro, destra e sinistra. Il cubo, la figura perfetta con sei facce, venne utilizzato in Egitto come simbolo di spazio (volume).
Gli egizi erano dunque consapevoli della struttura scatolare, che è il modello del mondo materiale. Essi comprendevano la materia come cubo, la cui base è quadrata ma con sei facce. La “statua-cubo” è una forma statuaria particolarmente diffusa a partire dal Medio Regno (2040-1783 a.C), in cui il soggetto veniva integrato nella forma cubica della pietra.
In queste statue cubo vi è un forte senso del soggetto che emerge dalla prigionia del cubo.
Il suo significato simbolico è il principio spirituale che emerge dal mondo materiale.
La persona terrena viene collocata inequivocabilmente nell’esistenza materiale, mentre la divinità viene raffigurata seduta esattamente su un cubo, rappresentando la mente al di sopra della materia.
7. Il Ciclo della Vita e della Morte
Il numero sette è il primo numero completo perché riunisce in sé i significati di tutti i precedenti numeri: 1 2 3 4 5 6 7.
Considerato che tutti i numeri sono pari o dispari, due è il primo numero pari, e quattro è il secondo; tre è il primo numero dispari e cinque è il secondo.
Aggiungendo il primo numero dispari al secondo numero pari, oppure il primo numero pari al secondo numero dispari, la somma è sette.
Quindi, aggiungendo due, il primo numero pari, al cinque, il secondo numero dispari, la somma è sette.
Allo stesso modo, se al tre, che è il primo numero dispari, si aggiunge il quattro, che è il secondo numero pari, la somma è sette. Se all’uno, che è la fonte di tutti i numeri, si unisce il sei, che è un numero perfetto, la somma è sette, che è un numero completo.
Si tratta di una proprietà particolare del sette non posseduta da nessuno dei numeri che lo precedono.
I numeri 7, 9, 12, 28 sono i primi numeri a essere chiamati rispettivamente: completi (Kamil), dispari quadrati, superiori e perfetti.
L’esclusività che accomuna questi numeri deriva dal fatto che 7 = 3+4; 12 = 3×4; 28 = 7×4 e dal fatto che 7+12+9 = 28.
Nell’Antico Egitto, il significato e il ruolo del numero sette era determinato dal modo in cui veniva scritto. Poiché il sette indicava l’unione dello spirito (Tre III) con la materia (Quattro IIII), veniva scritto ponendo tre trattini sopra a quattro trattini.
Una delle forme che tradizionalmente esprime il significato del sette è la piramide, che unisce la base quadrata, simboleggiante i quattro elementi, alle facce triangolari, che simboleggiano le tre modalità dello spirito.
Dal punto di vista esoterico, poiché tutti i numeri devono essere considerati come divisioni dell’unità, il rapporto matematico che un numero reca all’unità è la chiave della sua natura.
Sia il tre che il sette sono numeri “in perpetuo movimento”: divisi in unità, si dividono all’infinito.
1/3 = .33333…
1/7 = .1428571428571…
Tre è il numero della generazione, mentre sette è il numero del procedimento, dello sviluppo, e dei sottostanti aspetti ciclici di vita-morte.
Osiride è esattamente il principio che fa emergere la vita dalla morte e simboleggia il potere del rinnovamento, dunque la mitologia egizia lo associa al numero sette e ai suoi multipli.
L’intimo rapporto tra Osiride e il sette si riflette in questi pochi esempi tratti dal Tempio di Osiride ad Abido. Esso è l’unico tempio che ha sette cappelle e 42 (7×6) è il numero di passi che portano a questo tempio. 42 è anche il numero degli assessori/giurati nel Giorno del Giudizio, presieduto da Osiride. Vi sono sette forme spirituali di Osiride, nonché sette barche di Osiride.
La rappresentazione più eclatante del concetto di rigenerazione è quella che raffigura Osiride con ventotto steli di grano che escono dalla sua bara. Secondo la storia simbolica egizia, il regno di Osiride durò 28 anni (7×4). Non è difficile assimilare questa divinità alla Luna ed ai suoi cicli.
Osiride morì (similmente alla scomparsa della luna), e dopo tre giorni risorse. Il terzo giorno rappresenta l’inizio di una nuova luna, cioè un Osiride rinnovato.
Il pensiero egizio collocava nelle regioni sotterranee il Regno dei Morti. In queste regioni il Sole transitava ogni notte, per poi rinnovarsi ogni giorno.
Durante questo viaggio, il Sole era sempre ostacolato dalle forze del Male, simboleggiate nel loro complesso da un serpente, che nei miti egizi appare sotto diverse denominazioni e attributi: Ur (l’Antichissimo), Nehaher (Quello dalla faccia mostruosa), Neheb-Kau (Colui che dà attributi), Mehen (Colui che tiene [le cose disposte] in circolo).
Per quanto riguarda l’ultimo nome, Mehen, esso si spiega tenendo conto che questo mitico serpente veniva immaginato nell’atto di circondare con tutta la sua lunghezza l’intero mondo degli Inferi.
Esso è il Grande Serpente dell’Eternità, che esisteva prima dell’inizio delle cose e che continuerà ad esistere anche dopo la fine del mondo, poiché quando il tempo finirà il Tutto ritornerà in lui.
Quando il Sole transitava nel Mondo Sotterraneo, il Serpente si trasformava nel drago Apophis (Apopis o Apep), ed ingaggiava un combattimento contro gli dèi alleati di Ra, che scortavano la barca solare.
Apophis, immancabilmente sconfitto, ritornava ad assumere le sembianze circolari di Serpente Eterno, ossia tornava nello stato di quiescenza, per attendere il Sole al suo nuovo tramonto, nella speranza di aggredirlo mortalmente alla sua nuova discesa nel sottosuolo, e così in una metamorfosi senza fine.
Tuttavia, la sua sconfitta di Apophis non è mai stata data per scontata, temendo invece che prima o poi potesse avere la meglio.
Si dice nel Libro dei Morti che lo stesso dio supremo Atum, all’inizio dei Tempi, fosse un serpente: quando il mondo finirà e tutta l’Umanità tornerà ad essere fango, Egli sarà l’unico superstite predestinato e riacquisterà, infine, la sua primitiva forma di Serpente.
Il Serpente Cosmologico simboleggia dunque l’eterna ciclicità della Vita e della Morte e si esprimeva simbolicamente con la figura di un serpente che tiene in bocca l’estremità della propria coda. Questo essere senza inizio né fine ben simboleggia l’idea di tempo infinito, di eternità.
Questo archetipo, noto anche con il nome Uroboros (oroboro se vogliamo utilizzare il nome palindromo) fu poi ripreso dalla filosofia ermetica e dal simbolismo alchemico con la stessa valenza, per esprimere lo stato di riposo o stasi letargica in cui versano gli Elementi allo stato naturale.
A questo punto è facile notare come il variegato apparato simbolico egizio sia intercomunicante: l’uccello Bennu (la Fenice), lo Scarabeo, il Serpente primevo e l’Uovo cosmico, sono tutti elementi che si riversano nella medesima lessicologia mitologica, riproponendo le stesse valenze di rigenerazione ciclica solare.
Ra – Osiride – Horus
I testi egizi si riferiscono a Ra e Osiride come alle anime gemelle.
Etimologicamente parlando, la parola egiziana per Osiride è Ausar, una parola formata di due parti, Aus e Ra, e significa forza di Ra, radice di Ra. Osservando che la radice è la parte sotterranea, da cui può rinascere un apparato vegetale, ecco che il riferimento alla rinascita di Ra è evidente.
Ra è il Neter vivente e quando muore diventa Osiride, il Neter dei morti, che a sua volta risorge come un nuovo Ra, o meglio Horus.
La Creazione è un ciclo costante e perpetuo, un flusso vitale che progredisce verso la morte che fa germogliare nuova vita. Così, le condizioni di vita e morte diventano intercambiabili: vivere significa morire, morire significa risorgere a nuova vita.
Nella morte il defunto si identifica con Osiride, ma egli tornerà di nuovo in vita e sarà identificato con Ra.
Nell’oltretomba le anime di Osiride e Ra si incontrano e si uniscono per formare un’entità descritta in modo eloquente:
«Io Sono le sue due anime nei suoi gemelli».
Nella tomba della regina Nefertari (moglie di Ramses II), si trova una nota rappresentazione del Neter (dio) solare defunto dal corpo mummiforme e la testa in forma di ariete, accompagnato da due iscrizioni poste a destra e a sinistra.
«Questo è Ra che viene a riposare in Ausar»
«Questo è Ausar che viene a riposare in Ra»
La Litania di Ra è fondamentalmente un ampliamento dettagliato di un breve passaggio del capitolo 17 del Libro del Ritorno nel Giorno (Libro dei Morti), che descrive l’unione di Osiride e Ra in un’Anima Gemella, il defunto afferma:
«Io sono Ieri e conosco Domani»
Abbiamo già visto, nel precedente articolo, che gli Egizi vedevano Osiride e Horus come un continuum. Osiride rappresenta l’uomo mortale e simboleggia il subconscio, mentre Horus simboleggia la consapevolezza e la volontà.
Nel giorno del giudizio, Horus, il figlio di Iside, funge da mediatore tra i defunti e il Padre Osiride. Tutti i defunti vogliono essere riportati in vita dal Figlio, Horus, come raffigurato nelle tombe egizie.
La dualità di Osiride e Horus si riflette nel ciclo dell’acqua, come rappresentato dai Quattro Elementi. Rivediamo dunque, alla luce di queste nuove informazioni, il già citato passo di Plutarco, nel Volume V dei suoi Moralia:
«Gli Egiziani chiamano semplicemente Osiride il principio e la potenza, nella loro totalità, capaci di creare l’elemento umido, causa del generare e sostanza di seme vitale; e chiamano Seth tutto ciò che è secco, igneo, asciutto, in una parola, e antagonistico dell’umidità. Gli Egiziani considerano il Nilo una effusione di Osiride, e così ritengono e credono che la terra sia corpo di Iside; non tutta la terra, bensì quella che il Nilo copre, fecondandola e mescolandosi con essa. Da questa unione fanno nascere Horos. La stagione (Hora), che tutto conserva e nutre e consiste in una temperanza di atmosfera, si identifica con Horos. L’insidia che tende Seth e la tirannide che esercita consistono appunto in questa potenza di disseccamento, che domina e dissipa l’umidità da cui sorge e cresce il Nilo».
L’Acqua è Osiride, che il calore di Seth-Fuoco fa evaporare nell’Aria-Horus. A tempo debito, il vapore acqueo di Horus che ascende tornerà tramite condensazione sotto forma di acqua, ovvero Osiride.
8. Non è Mai la Fine
Il Sette rappresenta il compimento di un ciclo completo mentre l’Otto è il passaggio dal ciclo appena concluso ad un nuovo ciclo.
L’Otto, con i suoi due cerchi, accomuna il ciclo concluso con il ciclo che inizia così, rappresenta l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega, nonché l’infinito.
In questo modo, la continuità della creazione è una serie di ripetizioni: le ottave. L’ottava è lo stato futuro del passato.
Il Sarcofago di Petamon [Museo del Cairo n. 1160], afferma:
«Sono l’Uno che si trasforma in Due,
che si trasforma in Quattro,
che si trasforma in Otto,
e dopo ciò sono l’Uno».
Tuttavia, non è esatto dire che il ciclo si ripete. In verità il ciclo non si ripete mai, mai ma duplica se stesso. Ecco perché il simbolo che rappresenta il susseguirsi dei cicli è la spirale.
La seconda Unità non è la stessa dell’inizio né è identica, bensì è simile alla prima unità. La vecchia unità non esiste più, una nuova ha preso il suo posto, come recita l’esclamazione: Il re è morto, viva il re!.
Si tratta di un rinnovamento, di un’auto-riproduzione e per spiegare questo principio sono necessarie, appunto, otto fasi.
In musica, il tema del rinnovamento in otto fasi corrisponde all’ottava in quanto si ottiene attraverso tutti gli otto intervalli nella scala (gli otto tasti bianchi della tastiera).
Il numero Otto, nella Creazione, corrisponde al mondo materiale e tangibile che conosciamo, regolato dalle sue leggi scientifiche. Ad esso, corrisponde anche l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, che ha in sé l’equilibrio della polarizzazione, includendo entrambi i principi, maschile e femminile.
Otto veniva scritto IIII su IIII ed era il numero del dio Thoth, il messaggero dei Neteru, il dio della scrittura, del linguaggio e della conoscenza, dunque permetteva all’uomo di accedere ai misteri del mondo reale.
Thoth era la divinità principale della città Khmunu (Hermopolis), perciò era soprannominato il Signore della Città dell’Otto.
Dunque, a Khmunu, il culto era fondato sull’Ogdoade, l’Otto Primordiale, che comprendeva la prima metamorfosi di Amon-Ra – il misterioso, il nascosto – noto a Menfi come Tatenen, a Tebe come Ka-mut-f ma che, nel contempo, rimaneva Uno.
La manifestazione della Creazione in Otto periodi è presente in tutte e quattro le sedi di Cosmologia dell’Antico Egitto:
A Menfi, Ptah, nei suoi otto aspetti, creò l’universo.
A Eliopoli, Atum creò gli otto esseri divini.
A Khmunu (Hermopolis), gli otto Neteru primordiali – gli Ogdoade – crearono l’universo. Essi ne rappresentavano lo stato primordiale.
A Tebe, Amun/Amon/Amen, dopo aver creato sé stesso in segreto, creò l’Ogdoade.