Le origini della Ruota dell’Anno
Analisi di alcuni siti archeologici
Le Origini della Ruota dell’Anno
La Ruota dell’Anno non ha alcuna valenza storica né appartiene ad alcuna cultura estinta, tantomeno a culture di popoli di origini indoeuropee, stanziati in Europa a partire dal III° millennio a.C.
Il fatto è che nessuna di queste popolazioni, che vissero la loro massima espansione nell’Europa dell’Età del Ferro, si è degnata di tramandare qualcosa per iscritto riguardante la loro cultura. Neppure un calendario.
Dunque, ciò che sappiamo, non deriva da fonti dirette, ma sono informazioni ricavate dalle descrizioni di altri popoli, ovvero i Romani, i Greci e, in seguito, i Cristiani.
Va da sé che tali informazioni si siano oltremodo prestate ad ipotesi, congetture e manipolazioni di varia natura.
Così è nata la Ruota dell’Anno: una manipolazione sincretica che ha unito le antiche ricorrenze celtiche menzionate nel Calendario di Coligny, risalente al II sec. dopo Cristo e festività corrispondenti a solstizi ed equinozi identificati con il calendario Giuliano.
Infine, è nata recentemente la moderna corrente di pensiero che vorrebbe riscoprire gli antichi culti e riportarli in auge, a cui è assegnato il nome generico di neo-paganesimo.
Proprio questa corrente di pensiero ha assegnato il nome di Ruota dell’Anno a questo calendario fittizio, composto da otto festività denominate Sabba o Sabbat, in onore di un presunto culto stregonico medievale.
Dunque, gli otto Sabbat vengono suddivisi in quattro maggiori e quattro minori.
Le quattro festività maggiori sono quelle ricavate dal Calendario di Coligny, adattate sul nostro calendario:
- Samhain/Calenda – Capodanno Celtico – celebrato attualmente il 31 ottobre
- Imbolc/Candelora – Festa della Luce – celebrato attualmente il 2 febbraio
- Beltane/Calendimaggio – Festa dell’Estate – celebrato attualmente il 2 maggio
- Lughnasadh – Festa del raccolto – celebrato attualmente il 1 agosto
Le quattro festività considerate minori, corrispondono invece alle attuali date di Solstizi e Equinozi:
- Yule (Alban Arthuan – Luce di Artù), il Solstizio d’Inverno, celebrato il 21-22 dicembre
- Ostara (Alban Eiler – Luce della Terra), l’Equinozio di Primavera, celebrato il 22-23 marzo
- Litha (Alban Heruin – Luce della Spiaggia), il Solstizio d’Estate, celebrato il 21-22 giugno
- Mabon (Alban Elued – Luce dell’Acqua), l’Equinozio d’Autunno, celebrato il 22-23 settembre
In ultima analisi è sopraggiunta, in tempi recenti, una nuova corrente di “celtisti”, che si appella ad un’altrettanto recente branca dell’archeologia: l’astro-archeologia.
Questa branca si occupa essenzialmente di mettere in relazione strutture architettoniche risalenti ad antiche civiltà con la mappa celeste. Per quanto il tutto sia ancora in fase sperimentale e non riconosciuta dall’archeologia ufficiale, sta di fatto che la relazione tra cielo e terra è senz’altro fondata.
Infatti, fin dall’era neolitica, il calcolo del tempo fu un fattore fondamentale per l’umanità, che quindi si ingegnò nel mettere a punto l’intero sistema astrologico pervenuto fino ai giorni nostri.
Il Sole e la Luna con i loro movimenti, furono determinanti: la Luna permise di dividere il tempo in settimane, quindicine e mesi, mentre il Sole scandiva l’anno. Fu così che vennero determinati i calendari luni-solari, a cui appartiene anche il Calendario di Coligny.
Tuttavia, nel computo di questi calendari, oltre ai due luminari, ebbero molta importanza anche le costellazioni e le stelle.
Nell’antico calendario egizio, ad esempio, il tempo veniva scandito in ricorrenze indicate dal sorgere e declinare di alcune particolari stelle o costellazioni, che segnavano eventi precisi e di grande interesse per la comunità.
Il caso più eclatante è quello della stella Sirio della costellazione del Cane Maggiore: la levata eliaca di questa stella segnava, nell’antico Egitto, l’avvento delle piene del Nilo, per gli Egizi era quindi un riferimento fondamentale per l’agricoltura.
In generale, Sirio non è passata inosservata per tutte le popolazioni del bacino del Mediterraneo, che ne conoscevano la levata eliaca come l’evento che precedeva i giorni più caldi ed aridi dell’anno.
Oggi, la levata eliaca di Sirio avviene il 9 agosto alla latitudine di Palermo, il 16 agosto alla latitudine di Milano (45° Nord).
Sappiamo che nell’Antico Egitto la levata eliaca di Sirio avveniva all’incirca nella seconda metà di luglio.
Dagli studi condotti, risulta che nell’Europa dell’Età del Ferro, intorno al 500 a.C., la levata eliaca di questa stella avveniva all’incirca i primi di agosto, periodo in cui i Celti davano luogo alla festa di Lughnasadh, o festa del primo raccolto.
Un ragionamento analogo potrebbe essere applicato anche alle principali ricorrenze delle popolazioni celte: Samhain, che segnava l’inizio dell’anno, e Beltaine che ricorreva circa sei mesi dopo.
In astrologia, le stelle Antares (costellazione dello Scorpione), e Aldebaran (costellazione del Toro), formano un asse che divide a metà la volta celeste, segnando la nascita (Toro, primavera) e la morte (Scorpione, autunno) nel ciclo solare.
Ricordiamo a tale proposito che durante l’Età del Ferro, la costellazione del Toro segnava l’Equinozio di Primavera.
Inoltre, dai calcoli astronomici risulta che alla latitudine di 47° Nord, corrispondente all’Europa centro-settentrionale, la levata eliaca di Antares avveniva intorno al 16 Novembre, mentre oggi è il 22 dicembre, in corrispondenza al Solstizio d’Inverno.
La levata eliaca di Aldebaran, invece, avveniva intorno al 7 Giugno, mentre oggi avviene il 30 giugno, con un piccolo scarto rispetto al Solstizio d’Estate.
Queste analogie, tra l’altro piuttosto indicative, hanno dato spazio all’idea che le quattro ricorrenze celtiche potessero corrispondere, se non a equinozi e solstizi, alle quattro Stelle Regali che, secondo l’antica astrologia persiana, dividono il cerchio zodiacale in quattro parti.
Solo che queste quattro stelle sono diventate alquanto variabili, soprattutto durante il medioevo: così alcuni autori sostengono si tratti di Aldebaran, Antares, Formalauth e Regolo che, corrispondendo ai quattro segni fissi dello Zodiaco, segnano anche i Punti Cardinali della volta celeste.
Altri autori sostituiscono Antares, della costellazione dello Scorpione, con Altair della costellazione dell’Aquila, per la corrispondenza con i quattro cherubini (Leone, Toro, Aquila, Angelo) assegnati ai quattro Evangelisti cristiani.
Altri ancora vogliono che a segnare eventi particolari siano Sirio e Capella che, con le loro levate eliche, furono certamente importanti per gli Egizi ma, ad esempio, Capella alle latitudini superiori al 45° parallelo, risulta essere circumpolare.
Insomma, per farla breve, queste supposizioni, analogie e manipolazioni vorrebbero attribuire ai Celti conoscenze astronomiche che magari e molto probabilmente possedevano, ma che di fatto appartengono ad altre culture e ad altre tradizioni.
Si cercano allora delle conferme, ed è proprio qui che interviene l’archeoastronomia.
Per concludere, queste ipotesi talvolta davvero molto fantasiose, hanno comunque un pregio: quello di muoversi nella direzione di una riconsiderazione dell’antica cultura celtica e druidica, inizialmente percepita come primitiva, rozza, superstiziosa e brutale.
Vediamo quindi quali sono le recenti “scoperte” e, in attesa di eventuali fatti documentati che le avvalorino o le smentiscano, proviamo a considerare le cose da diversi punti di vista.
Analisi di alcuni siti archeologici
L’analisi della struttura dei Nemeton, cioè dei recinti sacri costruiti dai Celti durante l’età del Ferro, mostra che l’astronomia rivestì un ruolo fondamentale sia nella scelta dei siti in cui essi furono edificati, sia nel loro orientamento rispetto alle direzioni cardinali.
Due esempi emblematici di Nemeton li troviamo in Boemia, a pochi chilometri da Praga. Si tratta del Nemeton di Libenice e dell’Acropoli di Zavist, entrambi risalenti al 500 a.C. circa.
Lo stesso accade per taluni oppida, soprattutto quelli in cui era presente una classe druidica particolarmente colta, come ad esempio a Bibracte in cui una vasca rituale fu costruita tenendo conto di particolari criteri astronomici e matematici.
Vediamo dunque cosa è emerso dall’analisi di questi siti archeologici.
Il Nemeton di Libenice
Il nemeton di Libenice venne costruito e utilizzato della tribù celtica dei Boi, che lo abbandonarono intorno al 400 a.C in seguito alle migrazioni che li spinse verso l’Italia centrale.
Il santuario era un recinto rettangolare di circa 24×80 metri, delimitato da un fossato.
Presso il lato sud-orientale era stata ricavata una zona infossata nel terreno, grosso modo a forma di “8”, nella quale erano stati posti un menhir alto circa 2 metri ed altri più piccoli, che costituivano la zona di culto principale.
Già dalle prime analisi condotte negli anni sessanta, l’astronomo cecoslovacco Holub mise in evidenza che la progettazione era stata eseguita sulla base di criteri astronomici.
Holub riconobbe alcuni elementi che suggerivano un possibile orientamento verso il punto del sorgere del Sole al solstizio d’inverno, tuttavia l’asse del recinto rettangolare del nemeton, nel suo complesso, risulta orientato 24° a sud rispetto alla direzione equinoziale Est-Ovest, calcolata per il V secolo a.C.
Dall’analisi della topografia del luogo è risultato che nessun impedimento geografico o topografico limitava la costruzione del recinto sacro con l’asse maggiore rivolto verso altre direzioni.
Escludendo la costruzione e l’orientamento mediante criteri casuali, in quanto era abitudine dei Celti utilizzare linee di riferimento rituali o magiche per le costruzioni dei luoghi sacri, il fatto di aver scelto un orientamento intermedio tra la direzione di sorgere del Sole agli equinozi e quella dalla levata solare solstiziale invernale, implica chiaramente che la direzione verso cui l’asse del nemeton di Libenice è orientato è astronomicamente importante, ma non di natura solare.
Dalle analisi condotte, è possibile avanzare l’ipotesi che l’asse maggiore del santuario sia orientato verso la direzione in corrispondenza della quale, nel V secolo a.C., poteva essere osservata la levata di Rigel e Saiph, due delle quattro stelle principali della costellazione di Orione.
Per una curiosa coincidenza, in quell’epoca l’azimut di prima visibilità di queste due stelle era praticamente coincidente. Questo asterismo fu considerato tra i più importanti presso diverse civiltà antiche, poiché veniva usato per indicare i diversi periodi dell’anno importanti dal punto di vista agricolo.
Tuttavia, anche altre stelle importanti tra le quali Sirio, sorgevano in quella direzione.
Lungo una direzione molto prossima all’asse maggiore (Azimut circa 119ø-120ø) il Sole sorgeva nel V secolo a.C. il giorno in cui Antares era in levata eliaca, cioè il giorno di riferimento per la celebrazione della festa di Trinox Samoni.
L’asse del nemeton quindi puntava verso una zona del cielo in cui durante l’anno potevano essere osservati molti eventi astronomici che potevano servire come riferimento per il calendario.
Al centro del tempio è stata scoperta una tomba nella quale sono state rinvenute le ossa di una donna, dal cui corredo funebre si è indotti a pensare che fosse la Druidessa responsabile del culto.
La tomba mostra un orientamento Nord-Sud molto accurato, ed anche lo scheletro è stato ritrovato disposto lungo il meridiano astronomico con il teschio posto a Nord. L’orientamento sia della tomba che dello scheletro, risulta così accurato da escludere il risultato di una disposizione fortuita.
All’interno del recinto rettangolare sono state trovate oltre 35 buche nelle quali erano infissi dei pali. La disposizione delle buche, salvo qualche caso, non rappresenta alcun disegno regolare, per cui è escluso che potessero contenere pali atti a sostenere strutture abitative o architettoniche.
La loro disposizione evidenzia che delle coppie di pali definivano le direzioni verso i punti dell’orizzonte locale in cui sorgevano o tramontavano, a quella latitudine e intorno al V secolo a.C., diverse stelle, tra cui quelle in levata eliaca alle date delle quattro festività del Calendario di Coligny.
Altre buche da palo, invece, riproducono fedelmente sul terreno la disposizione delle stelle della costellazione del Cigno. Questa costellazione a forma di croce era ritenuta importante presso molte civiltà antiche, che la utilizzarono come indicatore della posizione del Nord astronomico.
Non dobbiamo dimenticare che durante l’età del Ferro il Polo Nord Celeste era situato ben lontano dalla stella Polare.
Ricostruendo l’aspetto del cielo visibile presso il Nemeton di Libenice in corrispondenza delle date delle quattro feste celtiche principali, si rileva che la costellazione del Cigno è sempre presente nel cielo, ma orientata secondo direzioni differenti.
Le direzioni dei quattro bracci, se idealmente prolungate fin verso l’orizzonte di Libenice, individuano grosso modo i punti dove avvenivano le levate eliache delle quattro stelle che identificano le date delle quattro feste.
La costellazione del Cigno, quindi, poteva essere usata per prevedere in anticipo l’avvicinarsi dei giorni in cui le levate eliache delle quattro stelle avrebbero dovuto verificarsi. Questo poteva rappresentare un utile strumento di pianificazione e di organizzazione della comunità.
Oltre a rappresentare accuratamente la forma della costellazione del Cigno, congiungendo la buca che corrisponderebbe alla stella Deneb con una buca situata a Nord un paio di metri poco oltre il fossato che delimita l’angolo settentrionale del recinto, si realizza un allineamento diretto verso la posizione del polo Nord celeste durante il V-IV secolo a.C.
La direzione individuata risulta parallela sia all’asse della tomba della Druidessa sia alla direzione dell’asse di rotazione della Terra.
Lungo questa direzione, nel 500 a.C., sorgevano e tramontavano ben tredici stelle appartenenti alle costellazioni circumpolari, cioè quelle che alla latitudine di Libenice non tramontavano mai.
Si veniva così a formare una sorta di orologio siderale, che poteva essere usato per prevedere in anticipo le date delle levate eliache delle stelle ed i cambiamenti climatici correlati.
In accordo con il fatto che i Celti non praticassero culti solari, non sono stati rilevati orientamenti significativi relativi a fenomeni legati al Sole, mentre sono stati rilevati allineamenti verso i punti di levata della Luna ai lunistizi, punti in cui la Luna raggiunge le sue distanze estreme dall’eclittica e che risultano importanti per la previsione delle eclissi.
L’Acropoli di Zavist
Un altro luogo molto interessante per il quale si sono condotte indagini di tipo archeoastronomico è l’Acropoli di Zavist, situata a pochi chilometri da Praga e risalente al VI-V secolo a.C.
La situazione dell’Acropoli nel periodo 550-500 a.C. era tale da comprendere un recinto quadrangolare di una ventina di metri di lato associato a case in legno allineate ai lati di una strada.
Nel V secolo a.C. l’acropoli venne ricostruita, dopo essere stata distrutta, all’interno di un grande recinto quadrangolare di un centinaio di metri per lato.
Furono costruiti un grande edificio rettangolare in legno a due navate, di cui attualmente permangono le buche che contenevano i pali di sostegno, alcuni edifici monumentali, e una torre a pianta triangolare, di circa 10 metri per lato, in pietre a secco, la cui altezza attuale è circa 4 metri, ma si presume potesse essere sormontata da sovrastrutture in legno che ne accrescevano l’altezza. Dalla piattaforma posta a quattro metri di altezza dal suolo era comunque possibile compiere osservazioni astronomiche.
La torre era un fabbricato ai cui vertici erano infissi nel terreno tre grossi pali in legno. Le analisi hanno permesso di evidenziare che, lungo la direzione individuata da una coppia di vertici, poteva essere osservata la levata eliaca della stella Capella.
Ciascuna delle tre coppie di vertici della torre permette di definire un settore di orizzonte entro il quale, nel V secolo a.C., potevano essere osservati svariati fenomeni astronomici. Tra i più rimarchevoli osserviamo il sorgere del Sole agli equinozi, il sorgere e il tramontare del Sole al solstizio d’inverno, il sorgere e il tramontare della Luna ai lunistizi e, più importanti di tutti, il sorgere eliaco di Antares, Aldebaran, Sirio e Capella, cioè le stelle fondamentali per la celebrazione delle quattro feste e per la determinazione delle date di inizio e termine delle stagioni.
Ritroviamo quindi anche a Zavist la possibilità di osservare i fenomeni astronomici fondamentali per la pianificazione agricola di una comunità rurale.
Analogamente a Libenice, anche Zavist fu abbandonata intorno al 400 a.C., probabilmente in funzione delle migrazioni dei popoli celti verso sud, facilitati da un innalzamento delle temperature medie che si verificò durante il I millennio a.C. che ebbe il suo apice nel VI -V sec. a.C., favorendo il valico dei passi alpini. Inoltre, tale fenomeno, aumentò considerevolmente il tasso di nuvolosità alle latitudini dell’Europa del nord, riducendo notevolmente le possibilità di osservazione astronomica.
Lo stagno monumentale di Bibracte
Lo “Stagno Monumentale” era una vasca in pietra di forma ellittica destinata a contenere dell’acqua e situata topograficamente al centro dell’Oppidum di Bibracte, la capitale dello stato degli Edui.
L’oppidum di Bibracte è stato frequentemente citato da Cesare nel “De Bello Gallico” e, per quanto ci è dato sapere, questa città era sede, durante il I secolo a.C., di una scuola druidica particolarmente importante della Gallia.
L’asse maggiore dello stagno monumentale è lungo circa 11 metri e il suo asse minore è lungo 4 metri. Secondo le misure di R.E. White, astronomo presso lo Steward Observatory in Arizona (USA), l’asse maggiore è diretto 36.4° ad est rispetto al meridiano astronomico locale.
Le prime ipotesi indicarono la possibilità che l’asse minore della vasca rituale fosse diretto verso il punto dell’orizzonte dove il Sole sorgeva al solstizio d’inverno, ma da analisi più approfondite è risultato che l’asse minore dello stagno puntava esattamente verso il punto di prima visibilità della stella Antares quando era in levata eliaca nel I secolo a.C., cioè alla data della festa di Trinox Samoni e il conseguente inizio dell’anno celtico.
Intorno al 50 a.C. la levata eliaca di Antares avveniva, secondo i calcoli, il 23 Novembre del calendario giuliano.
Una volta riconosciuta l’orientamento astronomico, possiamo mettere in evidenza i criteri costruttivi della vasca ellittica, emersi analizzando le misure lineari dello stagno. Tenendo conto del fatto che l’unità di misura lineare usata valeva circa 2 metri, ci accorgiamo che lo stagno misurava 6 x 2 unità.
La forma ellittica era stata ottenuta intersecando due cerchi di raggio pari a 5 unità ciascuno, i cui centri furono posti a 8 unità di distanza l’uno dall’altro.
La cosa stupefacente è che la metà dell’asse maggiore della vasca risulta essere lunga 3 unità, la distanza tra il centro della vasca e il centro di ciascuno dei due cerchi è di 4 unità, mentre il raggio di ciascuno dei due cerchi generatori è di 5 unità: in tal modo fu realizzato il triangolo rettangolo pitagorico, con cateti lunghi rispettivamente 3 unità e 4 unità, e l’ipotenusa lunga 5 unità.
L’importanza dello stagno monumentale di Bibracte consiste nella prova che i Druidi Edui conoscevano la geometria pitagorica e la matematica necessaria per eseguire i calcoli, e furono in grado di applicarle in connessione con le nozioni di astronomia a loro note.
Il criterio di progettazione dello stagno monumentale di Bibracte fu quindi quello di determinare inizialmente la direzione verso la quale era possibile osservare visualmente la levata eliaca di Antares quindi, fissata su quella direzione la posizione del centro dello stagno, furono disposti i centri dei due cerchi di raggio pari a 5 unità, ottenendo il triangolo pitagorico. La figura risultante dell’intersezione tra i due cerchi fornì la forma ovale della vasca rituale.
Le Monete
Dall’analisi delle monete, è possibile risalire al periodo in cui furono coniate con sufficiente precisione. Tra la grande quantità di pezzi rinvenuti negli scavi archeologici, sono da ricordare le serie complete di monete Armoricaine, cioè coniate dalle popolazioni celtiche stanziate in Armorica, regione geograficamente corrispondente all’odierna Bretagna, nella Francia settentrionale.
In particolare risultano di estremo interesse le monete coniate dalla popolazione dei Coriosoliti, che possono essere suddivise in sei classi sulla base degli elementi stilistici rappresentati.
Se consideriamo ad esempio una serie di 6 classi di monete coniate consecutivamente su un intervallo di pochi anni, possiamo notare un fatto molto interessante: sul dritto delle sei monete appare una testa umana variamente stilizzata, sul rovescio invece è raffigurato un cavallo con un cinghiale tra le zampe, ma solamente nella prima, nella quarta, nella quinta e nella sesta classe, mentre sulla seconda e sulla terza appare la raffigurazione di una cometa vista sopra la linea dell’orizzonte.
I Coriosoliti iniziarono a battere moneta dal 90 al 80 a.C. circa, periodo che risulta in ottimo accordo con l’attribuzione dell’immagine riportata sulle monete alla cometa di Halley. Durante il passaggio dell’anno 87 a.C., la data del perielio fu il 6 Agosto del calendario giuliano, mentre il 27 luglio la distanza della cometa dalla Terra era, secondo i calcoli, di 65.8 milioni di chilometri quindi la Halley era molto luminosa nel cielo.
Una tavoletta babilonese incisa in quel periodo riporta che la cometa aveva una coda estesa per oltre 20 volte il diametro della Luna piena. Il periodo di massima visibilità della Halley corrispose più o meno proprio ai giorni della festa di Lughnasadh che tradizionalmente erano anche il periodo della grande assemblea di tutte le tribù Galliche.
L’ordine cronologico delle monete è tale per cui il conio avvenuto durante il periodo di visibilità della cometa riportò la sua rappresentazione, mentre quando la cometa non fu più visibile ritornò ad essere rappresentato il tradizionale simbolo druidico del cinghiale.
Rimanendo nel campo delle monete celtiche Armoricaine, possiamo considerare uno Statere in Argento coniato tra il 100 a.C. e il 60 a.C. in cui sul verso appare, sotto la figura del cavallo, l’immagine della cometa passata il nel luglio del 69 a.C. tra le stelle Alpha e Gamma Virginis (Spica e Heze).
Nell’insieme delle monete coniate dalle popolazioni celtiche stanziate nelle Channel Islands esistono quindici classi differenti su cui non solo è rappresentata una cometa, ma si osserva anche il tentativo di rappresentare le stelle vicino alla quale essa fu visibile.
Su una piccola moneta coniata tra 100 e il 60 a.C. dai Celti delle Channel Islands sono rappresentate 3 comete, una sul dritto e due sul verso insieme ad alcune stelle.
Nell’anno 69 a.C. non era passata solo una cometa, ma tre: la prima cometa apparve nel cielo in direzione ovest a circa 30 gradi dal pianeta Venere, nel febbraio di quell’anno; la seconda cometa passò il 69 a.C. tra Spica e Heze; la terza apparve in agosto a nord est della costellazione della Corona Boreale muovendosi progressivamente in direzione sud. Il 2 agosto del 69 a.C. attraversò la parte meridionale della costellazione di Ercole presentando una coda bianca puntata in direzione Sud-Est.
Gli esempi di monete coniate da popolazioni celtiche rappresentanti eventi astronomici sono davvero numerose. Ciò sicuramente può accertare l’interesse di queste popolazioni per l’astronomia, nonostante non siano pervenute fonti scritte relative alle loro conoscenze.
*I riferimenti archeologici e astronomici menzionati in questo articolo, sono stati esposti durante i seminari tenuti il 27 e 28 Maggio 1997, all’Ecole Pratique des Hautes Etudes en Sorbonne (Parigi).