Origini del Culto e del Mito
La datazione dell’Inno pseudo-omerico a Demetra è incerta, ma verosimilmente esso è antecedente al VI secolo a.C. Questo significa che potrebbe essere anche molto più antico.
Tuttavia l’inno non è un carme liturgico, ma fu creato appositamente, allo scopo di diffondere il culto eleusino, celebrando il mito che ne sta alla base e che, almeno da un punto di vista storico, ha senz’altro a che fare con la scoperta dell’agricoltura e con le dinamiche psicosociali che ne sono conseguite.
Il culto eleusino ha caratteristiche eminentemente greche, tuttavia la sua origine è molto antica e di certo ha subito, nell’arco del tempo, diversi influssi: numerose fonti ne attestano i legami con l’Orfismo, con i misteri di Tracia, con i misteri dell’isola Samotracia, e con l’Egitto.
Clemente Alessandrino, nel Protrettico, ci informa:
“Altri dicono che Melampo, figlio di Amitaone, trapiantò dall’Egitto in Grecia le feste di Deò, un lutto da tutti decantato…”.
In età ellenica avvenivano forse dei riti iniziatici ad Alessandria d’Egitto, che aveva un sobborgo chiamato proprio Eleusi. La questione è tuttavia controversa, poiché dalle fonti non emerge con chiarezza di che genere fossero esattamente tali cerimonie rituali, né se esse comprendessero delle vere e proprie iniziazioni.
Ad ogni modo, il mito Omerico si preoccupa di conferire alla città di Eleusi una sacralità particolare stabilendovi il soggiorno della dea Demetra, fornendo in tal modo una giustificazione autorevole alle pretese di esclusivismo delle celebrazioni, assegnando alla città una notevole rilevanza politico-culturale.
Tuttavia, la dipendenza di Eleusi dalla vicina Atene non venne mai meno, neppure per ciò che riguardava le celebrazioni misteriche, dal momento che i rituali di preparazione, purificazione ed anche le processioni, avevano inizio proprio ad Atene.
Nelle Omelie di Asterio Amaseno leggiamo:
“… per effetto della tua demenza, non hai forse divinizzato Demetra e Core? E poi non hai edificato due templi destinati a delle donne? Non le onori con sacrifici e non le veneri con ogni generi di culti? Non è forse vero che i misteri di Eleusi sono l’essenza della tua religione e che il popolo dell’Attica e l’intera Grecia vi accorrono per celebrarne la vanità? Non è lì che si celebrano la tenebrosa discesa agli Inferi, e i solenni convegni dello Ierofante con la sacerdotessa, da solo a sola? Non si spengono le fiaccole…”.
Durante tutto il periodo ellenistico-romano fino alla tarda età imperiale, gente di tutti paesi, tra cui numerosi imperatori romani, si recò nell’Attica per partecipare alle celebrazioni eleusine.
L’importanza del santuario era tale che, quando l’imperatore Valentiniano proibì nel 364 d.C. l’organizzazione di feste pagane notturne, i Misteri Eleusini furono esclusi da questa prescrizione.
Nel II secolo d.C. il tempio bruciò in un incendio, ma fu prontamente ricostruito affinché continuasse a svolgere la propria attività. Purtroppo, nel 394 d.C., venne fatto distruggere dall’imperatore Teodosio ed il culto fu soppresso in favore della cristianità.
Celebranti
A differenza dei culti dionisiaci e orifici che si costituivano privatamente e in maniera del tutto spontanea, i misteri eleusini si ponevano sotto il diretto controllo dello Stato ateniese, che vi era addirittura rappresentato da magistrati, e prevedevano celebrazioni cicliche e ufficiali, organizzate con abbondanza di mezzi e di partecipanti.
I Misteri Eleusini erano celebrati da magistrati civili e dai membri di due stirpi ateniesi: i Cerici e gli Eumolpidi. Queste due stirpi continuarono a offrire i loro servigi dalla più remota antichità fino alla fine del IV secolo quando i cristiani soppressero il culto.
Un basileus (re), periodicamente eletto, era incaricato dalla polis di Atene di sovrintendere alla organizzazione dei Misteri. Un collegio di epistatai (magistrati civili) si occupava delle finanze.
Nella famiglia degli Eumolpidi veniva scelto lo hierophàntes (il primo sacerdote), letteralmente “colui che mostra gli oggetti sacri”.
I Cerici ricoprivano le due cariche immediatamente inferiori: il daduchos (portatore della torcia), che accompagnava lo ierofante nei momenti più solenni, e lo hierokerux (araldo sacro), che aveva il compito di aprire ufficialmente i Misteri.
I membri di entrambe le famiglie potevano celebrare i sacri riti.
Partecipanti
Chiunque poteva accostarsi ai misteri eleusini, anche donne, schiavi e bambini. Erano esclusi invece tutti coloro che si fossero macchiati di assassinio, e coloro che non parlavano correttamente la lingua greca. Ciò escludeva dal culto tutti coloro ritenuti barbari. Tuttavia questa norma si poteva facilmente aggirare facendosi “adottare” da un cittadino ateniese.
Per le donne la prima parte dell’iniziazione avveniva alla festa delle Tesmoforie, durante la quale venivano sottoposte a prove specifiche, probabilmente diverse da quelle imposte agli uomini. Secondo alcuni studiosi questa festa era caratterizzata dall’uso di un linguaggio libero e volgare da parte delle convenute. Le Tesmoforie si svolgevano in tre giornate, tra l’11 e il 13 del mese Pianepsione (all’incirca tra il 26 e il 28 ottobre).
Durante la prima giornata, le donne si recavano al santuario ateniese detto Thesmophorion; nella seconde giornata, praticavano il digiuno per purificarsi; il terso giorno, le donne offrivano a Demetra cereali, vino, formaggio, olio e altri cibi, cucinavano la carne degli animali sacrificati, banchettavano, si scambiavano motti osceni e si flagellavano. Il rituale prevedeva anche che di notte le carcasse degli animali sacrificati fossero gettate in grotte o burroni, forse a indicare la discesa nell’Oltretomba.
In merito all’origine delle Tesmoforie, Erodoto ci narra:
“Furono le figlie di Danao a portare dall’Egitto questo rito iniziatico e a insegnarlo alle donne pelasgiche. In seguito, dopo che i Dori scacciarono l’intera popolazione dal Peloponneso, questo rito iniziatico scomparve; dei peloponnesiaci, solo gli Arcadi, che erano rimasti senza migrare, lo conservarono”.
Sempre a riguardo della partecipazione delle donne al culto eleusino, è piuttosto discussa la questione se le donne potessero entrare a far parte della gerarchia sacerdotale, ma sembra che la risposta debba essere affermativa. Alcune fonti letterarie e numerose iscrizioni parlano di ierofantidi, alludendo probabilmente a vere e proprie sacerdotesse; tuttavia, l’iniziazione femminile ai gradi più alti, secondo molti studiosi, non avveniva in concomitanza con gli analoghi rituali maschili, e dunque si differenziavano.
Anche agli schiavi era consentito accostarsi al culto: lo provano varie iscrizioni e relative coste in denaro versate per l’iniziazione di schiavi, nonché certe allusioni contenute in alcuni testi letterari. Sembra infatti che, dopo essersi sottoposto alla cerimonia iniziatica, lo schiavo non fosse più realmente tale e formalmente non fosse più costretto a rimanere presso il padrone.
Tuttavia la partecipazione dei misteri eleusini da parte degli schiavi non era probabilmente frequente, dal momento che il costo era molto elevato: un’iscrizione rivela che il mystes doveva pagare una quota giornaliera di un obolo allo ierofante e versare altro denaro a diversi sacerdoti, spese che si aggiungono a quelle sostenute per l’acquisto delle vesti nuove che occorrevano per la cerimonie iniziatica e del maialino per il rito di purificazione.
Non possediamo indicazioni precise a proposito dell’età minima richiesta per accedere ai misteri di Eleusi, sempre che ne fosse prevista una: alcune persone venivano rese mystai già dalla prima infanzia, i cosiddetti bambini del focolare, ma non è dato sapere secondo quali precisi criteri questo avvenisse.
I Piccoli Misteri Eleusini

Il culto si esplicava in due periodi dell’anno distinti. A tal proposito ricordiamo che i mesi iniziavano con la luna nuova.
I Piccoli Misteri cadevano nel mese di Anthesterion (dal 15 febbraio al 15 marzo) e si celebravano ad Agra, un sobborgo di Atene, presso il fiume Ilisso, dove si trovava un tempio di Demetra e Core. I Piccoli Misteri sono stati introdotti in epoca più tarda ed avevano funzione purificatrice, indispensabile per la partecipazione ai Grandi Misteri.
Secondo alcune fonti i Piccoli Misteri furono introdotti in onore di Eracle, che in teoria non poteva essere ammesso al culto per due ragioni fondamentali: non era greco e si era macchiato di assassinio avendo ucciso i Centauri.
A tal proposito Apollodoro ci narra:
“Eracle si recò a Eleusi da Eumolpo, per essere iniziato ai misteri. Allora gli stranieri non potevano essere iniziati; Eracle fu iniziato dopo essere stato adottato da Pilio. Ma poiché non poteva vedere i Misteri se prima non veniva purificato per l’uccisione dei Centauri, fu purificato da Eumolpo, e allora poté essere iniziato”.
Dei Piccoli Misteri non si conoscono molti particolari, ma si suppone su fondate basi che essi costituivano una sorta di iniziazione e purificazione preliminare per accedere ai riti maggiori.
Pur essendo meno solenni dei Grandi Misteri, i Piccoli Misteri si svolgevano alla presenza dei magistrati e dei sacerdoti, compreso lo ierofante, colui che ha l’incarico di mostrare “tà ierà”, le cose sacre.
Coloro che intendevano sottoporsi all’iniziazione si riunivano nel tempio, dopo aver pagato allo ierofante un tributo in denaro; costoro inoltre dovevano essere presentati dal mistagogo ateniese, cioè da un iniziato già assurto alla gerarchia sacerdotale (letteralmente “colui che conduce ai mystay”).
Dopo aver subito l’esame preliminare, alcuni candidati venivano scartati, altri si sottoponevano ad una purificazione preparatoria: è interessante notare come due criteri principali di ammissione fossero la purezza da crimini e la capacità di parlare correttamente la lingua Attica, il che equivaleva ad escludere dai misteri le popolazioni barbare, tranne coloro che erano stati legalmente adottati dai cittadini ateniesi.
Alla fine di questo procedimento avveniva la cosiddetta prorrhesis, la proclamazione preliminare, che permetteva l’accesso all’iniziazione dei Piccoli Misteri.
La cerimonia si svolgeva in questo mondo: i sacerdoti facevano giurare ai candidati di custodire il segreto che sarebbe stato loro svelato, poi li sottoponevano ad una purificazione aspergendoli con l’acqua del fiume; seguiva un “sonno mistico” che simboleggiava la morte e la rinascita ad uno stato di armonia interiore maggiormente consono all’atmosfera del luogo. L’ultimo gradino dell’iniziazione era costituito da una cerimonia in cui Dioniso era rappresentato coricato sul letto, come se fosse morto: gli iniziati si lamentavano finché egli non si svegliava, e infine ricevevano da lui una sorta di unzione, grazie alla quale si dichiarava la loro rinnovata speranza di salvezza.
I Grandi Misteri Eleusini

I Grandi Misteri si celebravano nel santuario di Demetra e Persefone, alle pendici di una collina in posizione bassa ed esterna rispetto all’acropoli di Eleusi, e cadevano nel mese Boedromione (all’incirca dal 15 settembre al 15 ottobre) ed erano esplicitamente indicati, nel fitto calendario di festività religiose ateniesi, con la formula “ta Mystêria”, che ha finito per denotare, in modo specifico, una tipologia di manifestazioni religiose diffuse in altre zone della Grecia e della Magna Grecia.
Durante i Grandi Misteri si celebravano sia vere e proprie feste a cui partecipava gran parte della popolazione, sia cerimonie molto ristrette e riservate agli adepti.
Data l’ufficialità e la diffusione del culto eleusino, possediamo su queste cerimonie molte più fonti e testimonianze rispetto a quelle relative ad altri culti misterici: esse sono perlopiù riferite all’aspetto esteriore pubblico delle celebrazioni, ma comunicano un certo numero di particolari anche riguardo i veri e propri riti di iniziazione, che si svolgevano lontano dalla folla, in un edificio del complesso cultuale appositamente riservato a essi: il telesterion.
Prima di recarsi a Eleusi, i candidati all’iniziazione dovevano osservare una serie di prescrizioni rituali, come ad esempio la castità e, per un determinato numero di giorni, l’astinenza da certi cibi, in particolar modo da precise specie di pesci e di uccelli. Questo perché a Persefone era consacrato il gallo, le melagrane, le mele, i pesci, le fave. Bisognava inoltre evitare ogni contatto con cadaveri o con donne incinte. In alcuni casi a queste ultime era impedito di accostarsi misteri.
A questo proposito, Porfirio, nella sua opera Sull’astinenza, ci spiega:
“E chiunque conosce la natura delle apparizioni sa perché bisogna astenersi da tutti gli uccelli, e soprattutto parlandone in mezzo a gente che non ne conosce nulla”.
Non sappiamo se agli adepti fosse imposto un periodo di silenzio precedentemente alla cerimonie, come era costume tra i pitagorici e gli gnostici: se anche questo non fosse, è tuttavia certo che il silenzio era parte integrante del rito, tanto che il lessicografo Eschilo definisce l’iniziato “siopelos”, il silenzioso.
Esisteva una precisa successione delle fasi che componevano i Grandi Misteri: durante i primi giorni, gli efebi ateniesi si recavano a Eleusi e in seguito, in processione, tutti partecipanti ritornavano ad Atene portando gli oggetti sacri nell’Eleusion, il recinto delle dee sopra l’agorà, ovvero il santuario delle dee costruito sull’acropoli.
Qui si recavano i postulanti accompagnati dai mistagoghi, quindi venivano scelti e sottoposti alla proclamazione, e ricevevano istruzioni dallo ierofante.
Il giorno seguente essi si purificavano nel mare (bagno al Falero) al grido di “hàlade, mystai” (mysti, al mare), talvolta insieme ad animali, generalmente porcellini, che venivano poi sacrificati. Quindi per gli iniziandi cominciava il periodo di digiuno, che si sarebbe concluso tre giorni dopo, all’arrivo ad Eleusi; fino ad allora sarebbero rimasti ritirati a casa.
Nel frattempo avevano luogo cortei e cerimonie pubbliche, tra cui la processione di Iacco che percorreva la Via Sacra che separava Atene da Eleusi, accompagnata da fiaccole, danze e grida rituali. Dietro la statua di Iacco, portata anch’essa in processione sopra un carro trainato da buoi, vi era la cesta che conteneva gli oggetti sacri. Iacco è il dio Dioniso da giovane, e figurava come personificazione dell’urlo rituale degli iniziati (iakchê). Il fatto che Dioniso figurasse in una cerimonia così importante, lascia intuire quale rilevanza assumesse il culto di questa divinità, anche nei misteri di Demetra e Kore.
Sia le processioni che le cerimonie erano accompagnate dal suono della musica: gli antichi ritenevano che la musica svolgesse una molteplice azione di purificazione, di rilassamento e di distacco dalla realtà, tutte sensazioni che si accompagnavano alla celebrazione dei misteri. Nei riti eleusini gli strumenti principali erano il cymbalon e il tympanon, importanti anche sul piano simbolico come immagine della divinità dionisiaca.
Il santuario eleusino era delimitato dal lato dalla collina dell’Acropoli di Eleusi, dall’altro da un muro di cinta che, oltre a difendere il tempio, aveva l’importante funzione di allontanare occhi indiscreti dalla celebrazione dei misteri. All’interno delle mura c’erano monumenti ornamentali e tempietti dedicati a varie divinità: in quello di Demetra erano custoditi gli oggetti sacri e le statue delle due dee principali.
L’edificio più importante che concerne i misteri era il telesterion, il luogo deputato ad ospitare le cerimonie di iniziazione: si trattava di una enorme sala dal soffitto retto da colonne, capace di accogliere più di 3000 persone, ed intorno alle pareti si trovavano scalinate di otto gradini, destinate ad ospitare i mystai.
In cima a queste gradinate vi erano alcune porte.
Vi erano cinque gradi di iniziazione ai misteri eleusini, cinque tappe che gli iniziati affrontavano durante cinque anni, come ci informa Teone di Smirne, in L’utilità della matematica:
“… L’iniziazione si articola in cinque tappe; per prima viene la purificazione; … e per chi non è escluso dai misteri vi è la necessità di aver ottenuto prima una purificazione. Dopo la purificazione la seconda tappa è costituita dalla trasmissione dei riti iniziatici misterici; la terza è quella denominata contemplazione (epoteia); la quarta, e questo è anche il compimento della contemplazione, è la legatura e l’imposizione delle corone, così che si possano trasmettere i gradi iniziatici ricevuti, se si ottiene di ricoprire l’ufficio di daduco o di ierofante o qualunque altro sacerdozio … la quinta è rappresentata dalla felicità che ne consegue in ragione del favore divino e della convivenza con gli dei”.
Tutti gli anni, a partire dal 20 del mese di Boedromion, nel Telesterion, cominciavano le iniziazioni segrete, riservate ai soli iniziati. Prima di essere ammessi nel tempio i mystai erano sottoposti a una sorta di interrogatorio e pronunciavano una formula particolare che dimostrava l’avvenuta iniziazione ai Piccoli Misteri, quindi il sacerdote faceva giurare ai candidati di non rivelare mai il contenuto della cerimonia.
Il rito era composto da dròmena (cose fatte), legòmena (cose dette) e deiknùmena (cose mostrate). La segretezza dei Mysteria consisteva nell’indicibilità dell’esperienza (pathein), indipendentemente dalla volontà dei partecipanti. Tuttavia il divieto di esplicitare le forme del culto si aggiunse a questa indicibilità fondamentale. Non si aveva apprendimento (mathein) che all’inizio, poi si trattava di un mutamento di coscienza (diathetenai).
Proclo scrisse che le teletai :
“…provocano consonanza delle anime con il rito (dromena) in una maniera a noi incomprensibile, e divina, di modo che alcuni degli inziandi sono presi dal panico, colmi come sono di divino orrore; altri si assimilano ai simboli sacri, abbandonano la loro identità, acquistano familiarità con gli dei, e sperimentano la possessione divina”.
Il termine greco, attestato sia in Eraclito sia in Erodoto (e utilizzato in ambito ellenico regolarmente al plurale), to mysterion, ha radici nel verbo myô “mi chiudo, sono chiuso, serrato”, ma anche, per traslato, “sono calmo, silenzioso”. Da esso deriva un’altra forma verbale decisiva nel nostro contesto e strettamente imparentata con i mysteria: myeô “inizio ai misteri” (usato principalmente nella forma passiva, myeomai), poi anche, in senso lato, “insegno”, e, nel Nuovo testamento “do il battesimo”. A myô sono collegati anche il sostantivo maschile mystês che designa l’iniziato, e myêsis, l’iniziazione.
La scelta terminologica è l’emblema dell’esperienza eleusina: i misteri implicavano, soprattutto nella loro fase culminante, una dimensione di assoluta segretezza, una prova sul piano esistenziale irripetibile e indicibile.
Il rinchiudersi in sé stessi, implica l’atto da parte dell’iniziato di distacco dal mondo, il ritiro dei sensi verso l’interno, e lo slittamento della propria coscienza nel mondo interiore. Visto dall’esterno, il rinchiudersi in sé stessi palesa l’inaccessibilità al non-iniziato.
Secondo Magnien i mystai fingevano di morire e di ricevere la sepoltura. Tale cerimonia, attuata tramite lo spogliare chi si sottoponeva essa e l’interrarlo nella sabbia, simboleggiava il distacco dal corpo dalle cose materiali in attesa della visione mistica.
Quindi cominciava il loro viaggio negli inferi, compiuto al buio, probabilmente in un sotterraneo, e reso spaventoso da apparizioni terribili.
In un secondo momento i candidati giungevano davanti a una sorta di tribunale, in seguito alla sentenza del quale ricevevano una purificazione, probabilmente dopo aver purgato le eventuali colpe residue.
Concluso il processo, dopo aver bevuto l’acqua del Lete per dimenticare simbolicamente la vita precedente, gli iniziati potevano tornare verso la luce, al cospetto di tutti i presenti, che intonavano inni di lode e fornivano loro nuovi abiti, allusivi alla rinnovata esistenza del neo adepto.
Il tutto si concludeva con un corteo che seguiva i simulacri delle dee.
Questo costituiva il primo grado dell’iniziazione ai Misteri Eleusini.
L’anno successivo l’adepto poteva pervenire al grado superiore e diventare epoptes, tramite una serie di prove e cerimonie di purificazione analoghe a quelle per accedere al grado di mystes.
Il termine epopteia è composto di epi, sopra, e opteuô, vedo, osservo, (con radice in op), significando la visione di contemplazione della divinità, con cui si compiva l’iniziazione.
Ippolito, ne Confutazione di tutte le eresie, ci conserva questa versione di quella esperienza:
“[…] gli Ateniesi, nell’iniziazione di Eleusi, mostrano a coloro che sono ammessi al grado supremo [epopteuosi] il grande e mirabile [thaumaston] e perfettissimo [teleiotaton] mistero [mystêrion] visionario [epoptikon] di là: la spiga di grano mietuta in silenzio”.
Lo ierofante in persona […] che si è reso impotente con la cicuta e si è staccato da ogni generazione carnale, di notte a Eleusi, in mezzo alla luce delle fiaccole, nel compiere il rituale dei grandi e ineffabili [arrêta] misteri, grida e urla proclamando: Brimò la Signora ha generato il sacro fanciullo [kouron] Brimós […]”.
Brimò è stata identificata con Demetra per interpretare i misteri come evocazione della sacra unione con Zeus, ma C. Kerényi l’ha riconosciuta come Persefone: in questo caso l’unione cui si alluderebbe potrebbe essere quella tra lo stesso Zeus e Persefone, cui accennano le teogonie orfiche, da cui sarebbe nato Dioniso, qui forse designato con l’espressione (secondo alcuni aggettivale) Brimon (tremendo, potente).
L’epoptéia non doveva consistere esclusivamente in un’esperienza relativa al piano emozionale, sostanzialmente disgiunta d’ogni forma di contenuto dottrinale; sappiamo al contrario che proprio in questa fase dell’iniziazione veniva comunicato loi “hieròs logos”, il “discorso sacro” inteso a chiarire un aspetto del mito sconosciuto ai profani o da essi male interpretato.
Purtroppo non conosciamo i particolari del mito eleusino che venivano comunicati agli adepti: l’ipotesi avanzata da alcuni studiosi, secondo cui il segreto avrebbe potuto consistere in notizie relative a dettagli erotici della leggenda di Demetra e Kore, non ha finora trovato conferma.
Tra gli oggetti sacri legati all’epoptéia vi erano la spiga di grano e la Kiste.
La spiga, che l’iniziato contemplava alla fine del suo processo di purificazione, era un attributo di Demetra e simboleggiava la luce seminata dell’uomo fin dalla nascita, ma capace di emergere realmente solo grazie all’iniziazione.
Dall’analisi di alcune fonti si può dedurre che l’iniziato doveva macinare in un mortaio delle spighe di grano. La spiga era legata anche a un altro rito tipico dei misteri Eleusini: la celebrazione del sacro connubio tra Demetra e Zeus, rappresentati dallo ierofante e dalla sacerdotessa della dea, tramite i quali si intendeva anche propiziare la crescita delle messi.
Alla fine di questa cerimonia lo ierofante mostrava, appunto, una spiga di grano, il frutto del connubio.
La kiste era invece la cesta contenente le cose sacre, il serpente, la capra e l’aquila, tutti allusivi a qualche particolare aspetto del mito. Era assente il simbolismo sessuale e fallico rappresentato spesso in altri culti misterici, anche se non è mancato chi ha identificato tra gli oggetti sacri una riproduzione dei genitali femminili, toccando i quali l’adepto si univa simbolicamente con la dea.
Dal Synthema di Clemente Alessandrino, sono state ricavate informazioni sulla parola d’ordine pronunciata dal candidato nell’atto di accostarsi alla cerimonia iniziatica:
“Ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho preso gli oggetti sacri dalla cesta, ho lavorato e li ho messi nel kalathos (cesto alto, canestro) e da lì nella cesta”.
Secondo alcuni studiosi, mentre l’iniziato scandiva questa formula, si faceva scivolare sul corpo una raffigurazione dell’organo sessuale femminile, a simboleggiare la rinascita dell’adepto opera della Grande Madre Demetra e il suo passaggio una nuova vita.
Abbastanza simile era il synthema dei Piccoli Misteri:
“Ho mangiato al tympanon, ho bevuto al cymbalon, sono divenuto mystes”.
Il ciceone (kykeòn) è la bevanda a base di acqua, orzo e foglie di menta, consumata tradizionalmente durante i misteri eleusini, assumendo la quale si rompeva il digiuno rituale imposto ai candidati al rito iniziatico. Il ciceone è menzionato nell’Inno a Demetra, secondo Kerény conteneva ingredienti lievemente allucinogeni, atti a favorire lo stato di trance mistica dell’iniziato.
Secondo altri studiosi, durante i culti si faceva uso di preparati a base di segale cornuta, ovvero fiori allucinogeni che crescono insieme al grano, mentre a detta di altri il papavero, attributo tradizionale di Demetra, spesso presente nell’iconografia, avrebbe costituito un preciso riferimento all’uso di oppiacei da parte degli iniziati. Naturalmente è difficile sia convalidare che escludere tali ipotesi attraverso testimonianze archeologiche.
Tutte le cerimonie di iniziazione, anche nelle diverse modalità relative ai vari gradi della gerarchia, si configurano con una sorta di morte rituale, un abbandono dell’involucro precedente per compiere una prima ascensione verso uno stato spirituale migliore.
Molti dei rituali che precedono e che si accompagnano al culto, sono invece allusivi a qualche aspetto particolare del mito. L’astensione dei cibi da parte dei candidati all’iniziazione, oltre a far parte del rituale di purificazione, costituiva un parallelo al prolungato digiuno di Demetra dopo la scomparsa di Persefone; i cortei sacri con le fiaccole ricordavano le torce accese della dea tra le pendici dell’Etna; agli adepti era proibito sedersi sull’orlo dei pozzi perché proprio in quel luogo Demetra si riposò piangendo la figlia perduta.
In un episodio del mito, la dea, giunta a casa di Celeo, si siede su uno sgabello, si vela il capo di tristezza e poi ride per i motteggi di Iambe, e infine beve il ciceone: la stessa sequenza di gesti compivano i mystai durante la cerimonia iniziatica.
Alcuni studiosi moderni hanno definito l’insieme delle azioni rituali compiute dall’iniziando un “dramma liturgico”, non nel senso che a Eleusi aveva luogo una vera e propria rappresentazione teatrale, ma nel senso che il mito di Demetra e Persefone veniva riprodotto dall’officiante.
L’officiante, dunque, indossava le vesti prescritte dal rito e compiva, in forma ridotta e schematizzata, secondo le esigenze di una partecipazione collettiva, un’azione in cui il protagonista era l’essere divino di cui era ministro e che effettivamente simboleggiava.
I fedeli erano assorbiti dall’azione sacra di cui conoscevano in precedenza lo svolgimento, dunque non seguivano il rito con spirito di profana curiosità ma con senso di pietà viva, sperimentandone il valore religioso, e supplivano agevolmente le deficienze di rappresentazione intensificando la loro partecipazione mistica.
Si può affermare che le celebrazioni misteriche eleusine puntavano a rinnovare il profondo legame con la divinità che aveva contribuito, con i suoi doni, a elevare la vita umana dalla selvatichezza, offrendo anche un messaggio di speranza per la fine della vita.
In tal senso il coinvolgimento di Dioniso, dei miti e della sapienza escatologica connessi, sono documentati almeno dalla fine del V secolo, quando, nelle Rane, Aristofane, descrivendo la catabasi di Dioniso, sottolinea il destino felice degli iniziati mentre, nell’oltretomba, in una probabile parodia della processione eleusina, inneggiano al loro dio Iachkos:
“Avanziamo sui prati fioriti,
dove abbondano le rose,
giocando alla nostra maniera,
la più vicina alle belle
danze, sotto la guida
delle Moire felici.
Per noi soltanto è gioioso
Il sole e il lume delle torce,
per tutti noi che siamo iniziati
e abbiamo condotto una vita
religiosa verso gli stranieri
e i concittadini”
[Aristofane, Rane, 448-459]
D’altra parte, nel IV secolo l’aspetto escatologico del culto eleusino sembrerebbe chiaramente presente nel Panegirico di Isocrate:
“[…] coloro che prendono parte all’inziazione [teletên] hanno speranze più dolci riguardo alla fine della vita e riguardo a tutti i tempi”.
Alla visione del dio seguivano altri gradi di elevazione spirituale, che segnavano l’ingresso di chi vi si sottoponeva tra i mistagoghi, coloro cioè che erano incaricati di guidare i fedeli ai riti iniziatici.
Questa gerarchia di dignitari comprendeva ulteriori tre gradi: quello dell’iniziazione oloclerica (holòkeros significa integro, perfetto), quello dell’iniziazione sacerdotale, ed infine quello dell’iniziazione ierofantica o reale.
Alla sommità di questa gerarchia vi è quella che Teone di Smirne definisce “la felicità suprema”, cioè la visione integrale della divinità ovvero l’identificazione con essa da parte dell’adepto, che ormai si era liberato dai vincoli del corpo.
I rituali legati a queste forme superiori di gerarchia misterica erano in molti casi analoghi a quelli finalizzati ad accedere ai gradini più bassi, ma caratterizzati da una maggiore componente simbolica: nell’iniziazione oloclerica l’adepto veniva racchiuso in un cerchio che rappresentava tutto ciò che era destinato a morire, da cui si era liberato con l’aiuto di un mistagogo, simboleggiante la divinità.
Alla fine della cerimonia, dopo essersi rifugiato presso il simulacro di Persefone, il candidato riceveva una corona, simbolo del nuovo potere che veniva conferito a colui che si sottoponeva all’iniziazione sacerdotale, e, seduto in un luogo buio, doveva rompere delle catene per risalire verso la luce.
Infine, il cerimoniale dell’iniziazione ierofantica, carica che conferisce una dignità superiore a tutte le altre, era caratterizzato dall’attraversamento a nuoto di un corso d’acqua, che rappresentava il passaggio a una nuova condizione dell’anima; il successivo attraversamento del fiume sulla barca alludeva invece con ogni probabilità al ruolo di guida degli uomini che assumeva il novello ierofante.
L’ammissione alle cariche sacerdotali, conferiva importanza non solo sul piano propriamente religioso, poiché chi aveva raggiunto questi gradi riceveva il potere di trasmetterli ad altri uomini e di guidarli; ma tale caratteristica si proiettava anche in attività non cultuali, trasformando i mistagoghi in eccellenti poeti, oratori, medici e uomini politici, tutte attività che influenzano gli individui e la società.
Si può dunque affermare che gli iniziati alle alte cariche sacerdotali dei misteri eleusini acquisissero, di fatto, il potere di agire sugli uomini, talvolta con mezzi analoghi a quelli impiegati nei misteri. Essere nella vita e per la vita qui significava dunque far valere continuamente e costantemente la potenza e l’atto creativo.
Complimenti per il buon lavoro di ricerca. Grazie. Cordialità
Grazie a Lei