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Ecate, dea della Trasformazione

Ecate come Grande Madre

Ecate come Protettrice e Guida delle anime

Ecate come Guardiana delle Porte e dei Trivi

Ecate come Trimorfa

Ecate come Luna

Ecate come Regina dei Dannati

Ecate come Strega

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Ecate come Grande Madre 

In Grecia, Ecate era una divinità pre-olimpica, poi assorbita dal pantheon ellenico. Potrebbe essere fatta derivare da Heket, antica dea egizia della fertilità e della rigenerazione, che a sua volta si è evoluta in Heq, matriarca dell’Egitto  predinastico.

La maggioranza degli studiosi è concorde nell’affermare che la figura di Ecate nasce nell’Asia Minore occidentale, precisamente nella regione della Caria.

Dalle scarse testimonianze, si più arguire che si tratti di una divinità connessa ai passaggi attraverso zone liminali. Per questo motivo Thomas Kraus, in una monografia dedicata alla dea, la associa ad Apollo che, nella mitologia greca, con l’epiteto di Agyieus, aveva un’analoga funzione di guardiano delle porte e delle strade.

Altri studiosi, invece, la assimilano alla Grande Madre anatolica. Sebbene probabilmente ci sia una certa dose di verità in quest’ipotesi, essa non ha molta rilevanza ai fini delle origini della dea, dal momento che tutte le divinità femminili – e in particolar modo quelle orientali – sono legate alla figura della Grande Madre.

 

La prima testimonianza letteraria in cui Ecate fa la sua comparsa da protagonista è la Teogonia di Esiodo, nella quale Ecate discende dai Titani Phoibe e Koios, i quali ebbero due figlie: Leto, che divenne madre di  Apollo ed Artemis, e Asteria che, dall’unione con Perses, diede alla luce  Hecate. 

L’ interpretazione da parte degli studiosi ha generato numerose controversie nel tentativo di spiegare l’esaltazione della dea al di sopra di qualsiasi altra divinità, Zeus compreso, il quale “la favorì più di tutti gli altri dei”.

 

Ed ella (Asteria) concepì e generò Ecate,

a cui Zeus figlio di Crono rese onore sopra ogni cosa.

Le diede doni stupendi, per governare insieme la terra e l’ostile mare.

Ella ricevette il domino anche del cielo stellato.

 

La giustificazione – come suggerisce J. S. Clay nel suo saggio The Ekate of the Teogony – risiede nel suo peculiare carattere di intermediaria  fra gli esseri immortali e quelli terrestri. Questo aspetto la rende virtualmente partecipe –  o meglio, fautrice – di qualsiasi rapporto o connessione fra umano e divino.

Inoltre, Ecate appartiene alla schiera di divinità femminili panelleniche cui è stato attribuito l’epiteto culturale di megas, “grandi”: Artemis, Aphrodite, Demeter-Kore, Nemesis, Nike e Tyche.

Una tradizione più tarda fa di Ecate la fa figlia di Zeus ed Era, riducendo la sua sfera d’azione al mondo ctonio, termine che deriva dal greco “chtón” e significa “terra”, designando quell’ambito simbolico legato al mondo sotterraneo e infero e, quindi, alla dimensione caotica e uroborica che prelude alla creazione.

Dal punto di vista mitologico, la dimensione ctonia è associata all’idea della generazione e alla figura della Grande Madre, ossia quello a stadio mitico dominato dall’oscura e onnipotente Divinità femminile generatrice, il cui grembo dona la vita ma accoglie anche i morti e dunque può diventare anche assassina. 

Come divinità ctonia, Ecate appare in un sortilegio appartenente ai Papyri magici greci, e precisamente in quello denominato “Incantesimo (praxis) del Gatto”.

In questo sortilegio, utilizzabile per vari fini – in prevalenza di magia amatoria – l’officiante affoga ritualmente un gatto nell’acqua e, al contempo, recita alcune formule di scongiuro invocando misteriose entità, tra cui il persiano Mithra, il Giudeo Iahweh, il greco Ermes ed Ecate, la quale viene nominata come “Signora dei Morti”.

Nel sortilegio Ecate ha la funzione di incatenare simbolicamente l’oggetto del desiderio. Essa è quindi “incatenatrice” e “violentatrice”, ma allo stesso tempo vivificatrice delle membra… e del “membro”.

In pratica una  figura in grado di dare e togliere la vita, dalle spiccate valenze sessuali e dall’enorme potere.

 

Ecate come Protettrice e Guida delle anime

La seconda apparizione di Ecate nella letteratura classica è l’omerico Inno a Demetra, sulla cui autenticità gli studiosi non sono del tutto concordi, considerandolo per la maggior parte un’interpolazione successiva, adattato alla celebrazione dei Misteri di Eleusi.

In ogni caso, il brano viene interpretato come la prima esplicita allusione ad Ecate nel ruolo di guida nei luoghi e nei momenti di passaggio o transizione.

Nel racconto del ratto di Persefone da parte di Hades, Ecate assiste come testimone, assieme al dio Helios.

Successivamente diviene una sorta di messaggera per Demetra, e scende negli inferi, per rientrare in scena immediatamente dopo il ritorno di Persefone sulla terra.

Da quel momento, come recita l’inno: “la regina Ecate divenne colei che precedeva e seguiva Persefone”.

Ecate è, dunque, sia una guida che una protettrice.

Il testo lascia sottintendere che Ecate accompagni fisicamente Persefone nel suo itinerario di discesa agli inferi e in quello della successiva ascesa in terra.

Dal momento del ratto, il viaggio si ripeterà ogni anno, e per ogni anno Ecate farà da scorta alla figlia di Demetra.

In tal modo, Ecate acquisisce una nuova caratterizzazione e il ruolo più ampio e generalizzato di traghettatrice delle anime dei defunti.

 

Ecate come Guardiana delle Porte e dei Trivi

Ecate appare anche nei testi di Sofocle, dove viene menzionata con l’epiteto di Enodia, appellativo applicato anche ad altre divinità che svolgono la medesima funzione protettiva delle aree liminali (porte e crocicchi), come ad esempio Artemide, spesso identificata con Ecate stessa; Selene, altra figura spesso associata a Ecate nel sua aspetto lunare; Persefone, la cui connessione con Ecate è già stata accennata; Brimo e Bendis; e, infine, Hermes. 

Inoltre, si ha notizia di un’altra divinità adorata in Tessaglia col nome di Enodia. A riguardo i dati sono piuttosto scarsi, si sa solo che doveva essere un’esperta di filtri e pozioni, una maga, insomma.

La sua terra d’origine ci riporta immediatamente alla memoria Medea, altra figura tradizionalmente associata ad Ecate nel suo aspetto di patrona delle arti magiche.

Nella Teogonia esiodea, Ecate Enodia è una figura numinosa (una dimensione impersonale e onnipotente che prelude all’identificazione della divinità) e tutelare delle strade, in particolare nei punti dove esse si incrociano.

Altri documenti letterari a testimonianza del ruolo apotropaico assunto da Ecate in epoca ellenistica, si ritrovano in Eschilo e Aristofane: in entrambi i casi, la dea viene menzionata come nume tutelare di porte e accessi, con l’epiteto di Ecate propylaea: pare che le fosse consacrato un culto nell’Acropoli di Atene, in particolare al suo ingresso, i Propilei appunto, dov’era collocata una statua della dea a protezione della rocca. Anche Pausania fa cenno a questa tradizione, citando una Ecate la cui rappresentazione nell’aspetto triforme veniva venerata nell’Acropoli accanto al tempio di Nike.

Ecate assume il ruolo di guida e di protettrice dei passaggi non solo fisici ma anche temporali. E’ così che essa diviene anche la divinità che presiede alla nascita e alla morte venendo invocata – non a caso – in momenti astrologici di particolare pregnanza simbolica, come ad esempio il plenilunio. In questa circostanza – come testimonia Apollodoro (III sec. d.C.) – ad Ecate venivano offerti dei banchetti rituali, denominati hekataia. In particolare, qui si menziona il sacrificio rituale del pesce, sacro alla dea. Anche Plutarco fa cenno a questi sacri convivi.

 

Ecate come Trimorfa

ecateE’ a Roma che Ecate diventa Trivia: come suggerisce l’etimo del termine, essa prende nome e forma dalla sua connessione con il trivium stesso, la zona di incontro di tre vie.

Accadde che, nel VI sec. a.C.. a Roma, si celebravano dei rituali in onore degli eroi caduti per la difesa della città, in memoria dei quali il re Servio Tullio decretò che venissero eretti dei tempietti sui crocicchi. Su questi altari venivano offerti dei sacrifici ai Lares Compitales, divinità dei crocicchi come suggerisce l’etimo latino compita (crocicchio).

Successivamente questi Lari divennero divinità tutelari, che furono cristianizzate nei secoli successivi. Le edicole erette ai crocicchi si trasformarono, in seguito, da luoghi di culto delle entità tutelari del territorio a piccoli templi in cui si venerava la memoria dei defunti.

Le cerimonie rituali che accompagnavano il culto di queste edicole avevano luogo ogni anno, in gennaio, in coincidenza con un preciso momento astrologico – il solstizio invernale – che segnava l’ingresso nel nuovo anno e rappresentava un momento liminale, carico di una forte valenza simbolica.

Le cerimonie prevedevano un’inversione rituale delle regole sociali, venendo presiedute da un collegio sacerdotale composto da schiavi e liberti. Questo momento rituale si consumava nella più libera sfrenatezza, tra offerte e libagioni, tanto da far coniare un termine che tuttora permane nella sua connotazione negativa: triviale, che deriva da trivium, il crocicchio, da cui – come si accennava in precedenza – “Trivia”, la nostra Ecate triforme.

Inoltre, essendo al di fuori del controllo e di ogni possibile categorizzazione, le zone liminali divengono il regno dei fantasmi e delle cosiddette “anime in pena” di cui Ecate era regina.

Pertanto, Ecate acquisisce dal trivium l’appellativo e la caratterizzazione di triforme che la rappresentano nell’iconografia tradizionale come figura luminosa dal triplice aspetto e dal triplice volto: umano nella sua forma terrestre, equino nella sua veste lunare e canino nel suo habitus infernale. (Altre fonti attribuiscono a Ecate terrestre un volto di leone, altri di serpente).

L’aspetto trimorfo di Ecate la mette in relazione con un’altra divinità collegata alle zone liminali: Giano, rappresentato tradizionalmente come bifronte.

Giano viene menzionato assieme ad Ecate nel sesto inno di Proclo, in cui il poeta invoca le due divinità a soccorso e a protezione del proprio cammino esistenziale, proprio in qualità di custodi delle porte, quindi – simbolicamente – delle regioni e dei momenti iniziatici della vita. Ecate viene appellata come custode delle porte.

Salve, o madre degli dei, dai molti nomi, dalla bella prole;/salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza;/ma anche a te salve, o Giano, progenitore, /Zeus imperituro; salve, Zeus supremo;/rendete luminoso il cammino della mia vita,/colmo di beni, stornate i funesti morbi/dalle mie membra, e l’anima, che sulla terra delira, traete in alto, purificata dalle iniziazioni che risvegliano la mente./Vi supplico, tendetemi la mano, e le divine vie. Mostratemi, ché le desidero; la luce preziosissima io voglio mirare,/onde m’è dato fuggire la turpitudine della fosca generazione./Vi supplico, porgetemi la mano, e con i vostri soffi/Me travagliata sospingete nel porto della pietà./Salve  o madre degli dei, dai molti nomi, dalla bella prole;/salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza;/ma anche a te salve, o Giano, progenitore, /Zeus imperituro; salve, Zeus supremo.

Ancora in relazione a Giano viene citata da Arnobio nel suo Adversus Nationes (fine del III sec. d.C.), dove si elabora una genealogia in cui il nume bifronte risulta essere figlio di Ecate e del Cielo.

Inoltre, le due divinità sono accomunate dal medesimo appellativo “dalla doppia faccia”, epiteto che esprime la facoltà di guardare in due direzioni, applicato in Proclo ad Ecate e in Plutarco a Giano. L’aggettivo può riferirsi anche all’abilità di interagire con due differenti realtà: caratteristica peculiare della Ecate esaltata nel sistema caldaico, di cui si parlerà più avanti.

Si noti bene che nei testi appena citati si  parla di una Ecate bipartita e non tripartita, così come viene tradizionalmente descritta. Forse ciò si deve al fatto che, nel sistema caldaico, la funzione principale di Ecate era proprio quella della mediazione tra i due regni, quello intellegibile e quello sensibile, tra i quali essa si pone come Anima Cosmica.

 

Ecate come Luna

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Selene

In Senocrate troviamo per la prima volta il nome di Ecate in esplicita associazione alla Luna, in relazione alla teoria platonica secondo cui l’astro notturno avrebbe una funzione di intermediazione tra il mondo sensibile e quello intellegibile.

La sua natura di mediatrice è collocata da Senocrate all’interno di un sistema tripartito, dove il sole e le stelle occupano la parte, per così dire, superiore, mentre la terra e le acque quella inferiore, e la luna quella mediana. 

Questa concezione rimanda anche alla teoria medica di Ippocrate, che assimila la Luna al diaframma, ossia alla zona mediana del corpo umano.

Ma la Luna non è solamente un’intermediaria: è proprio lei che segna e definisce un limite tra due zone ben distinte, come un confine tra quei due mondi. Ed è così che ne parla Plutarco, descrivendola come una barriera che divide il mondo fisico da quello spirituale.

Inoltre, la Luna viene descritta come l’agente di una mediazione – e pertanto di una trasmissione – del principio vitale stesso.

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Diana (Artemide)

Anche Porfirio ed Eusebio si riferiscono ad Ecate chiamandola Luna, e lo stesso accade nei papiri magici, dove il nome della dea diviene intercambiabile con quello di Selene.

L’assimilazione con l’Astro lunare era spettata ad Artemide: gli Stoici (II sec. a.C.) tentarono di tracciare un parallelo tra Apollo/Sole e sua sorella gemella Artemide, che divenne transitivamente Artemide/Luna. In seguito, dai tempi di Plutarco, (I sec. d.C.) l’associazione di Artemide con la Luna è diventato un topos, e dunque Ecate/Luna è stata a sua volta identificata e confusa con Artemide.

Anche Seneca, fortemente influenzato dalle correnti mistico-filosofiche che si andavano diffondendo con sempre maggior forza dal I secolo d.C., attribuì alla Luna una funzione e una natura di intermediaria, oltre che di guida delle anime dei defunti – meglio chiamata daemones – sul limite che separa le sfere materiale/spirituale ed infera/celestiale. Un ruolo, questo, analogo a quello attribuito ad Ecate, e pertanto funzionale all’identificazione della dea con la Luna.

 

Ecate come Regina dei Dannati

Ecate assolve una funzione escatologica, ossia di salvazione. La salvazione consiste nel passaggio, e quindi nell’evoluzione e nel perfezionamento dell’anima.

Tale  escatologica di Ecate – mediata dalle teorie mistico filosofiche del medio platonismo – si inserisce all’interno di un sistema cosmologico che Senocrate descrive come una struttura triangolare in cui i demoni e la Luna partecipano sia della natura terrena che di quella ultraterrena.

Nell’antichità post-classica, questo carattere di compartecipazione alla natura celeste e terrestre viene trasferita ad Ecate che diviene, di conseguenza, la patrona dei demoni, tanto da essere spesso definita la loro “regina”.

In epoca classica, invece,  Ecate era piuttosto la dominatrice dei fantasmi. Allora si credeva che queste creature, non ben identificate né definibili proprio per la loro condizione di fatale ed eterna transitorietà, vagassero senza posa come anime in pena in una sorta di Limbo, dopo una morte prematura o violenta.

Si credeva inoltre che queste infestassero sepolcri e crocicchi che, come si diceva, erano consacrati ed Ecate ed erano il teatro delle sue invocazioni.

In epoca post-classica, questi esseri senza pace assunsero una connotazione decisamente negativa e terrifica, che si mitigherà solo successivamente grazie all’influsso delle teorie medio platoniche, che vedono i daemones  semplicemente come medium tra il regno umano e quello superno. Tuttavia, il senso di orrore che circondò queste figure in epoca post-classica non scomparve, ma andò a caratterizzare la figura di colei che li dominava: Ecate. 

Appartengono a questa corrente gli Oracula Chaldaica  – Oracoli Caldaici: una raccolta di rivelazioni sapienziali appartenenti alla tradizione misterica greco-romana realizzata probabilmente alla fine del II secolo d.C. da Giuliano il Teurgo – in cui compare sovente il nome di Ecate associata al ruolo di guida attraverso le zone liminali.  Ma non solo: alla dea viene attribuita anche una funzione cosmologica, ossia quella di intermediaria delle idee, e perciò di “strutturatrice del mondo fisico”.  

Nel sistema caldaico la triade cosmologica è formata da: un Primo Intelletto, fautore delle Idee; un Secondo Intelletto, che le fenomenizza portandole alla sostanza (entità, quest’ultima, identificabile con il Demiurgo del Timeo  platonico a cui la corrente caldaica si rifà in larga misura); e un’entità mediana, assimilabile all’Anima Cosmica, che ha funzione di trasmettere e trasportare queste idee dal mondo spirituale a quello fisico. Ecate è assimilabile a quest’Anima Cosmica.

In particolare, una delle funzioni della triade caldaica è quella della misurazione, ossia della divisione della sostanza fisica in proporzioni significanti: dall’idea si passa alla materia, dal caos primordiale si passa alla strutturazione armonica.

In sostanza, Ecate è l’entità mediana e il tramite tra questi due estremi, oltre ad essere anch’essa creatrice, o meglio Madre, delle anime individuali.

Infatti, uno degli attributi ecatei più spesso citati negli oracoli caldaici è proprio il suo ventre (colpoi), rappresentazione simbolica dell’organo di trasmissione delle idee e, quindi, di generazione e materializzazione delle sostanze fisiche.

Questo ventre viene impregnato da tuoni e lampi, emanazioni del Primo Intelletto (altrimenti detto Primo Fuoco) e simboli delle Forme o Idee platoniche, e dopo aver dato loro nutrimento le rilascia nel mondo fisico.

In un altro oracolo caldaico, Ecate è definita come la fonte dell’acqua dell’Anima Cosmica: simbolicamente, quindi, essa  è la fonte della vita. Essa è anche “sorgente della luce, del fuoco, dell’aria e dell’etere”.

In sostanza, Ecate è il ventre del cosmo e ad essa si attribuisce potere vitale su tutti gli elementi, e questa facoltà di animare con la vita ogni cosa, le dà anche la possibilità di rianimare i morti.

La mediazione, nel sistema caldaico, è un atto schiettamente vitale e pertanto la mediatrice per eccellenza di tutti i processi vitali non può che essere la Madre del mondo.

 

Ecate come Strega

Per riassumere brevemente quanto detto fin’ora si può dire che:

  • col Medio-Platonismo, Ecate viene sincretizzata con altre divinità (Selene e Artemide) e la sua figura include nuovi tratti;
  • nel tardo misticismo, il ruolo tradizionale di Ecate come guida e guardiano viene modificato e ampliato in funzione di un crescente interesse per le entità mediatrici, ritratte e considerate come trascendenti, staccate dal mondo umano; 
  • questa nuova interpretazione è in contrasto con quella più sensazionalistica della dea-strega, che è cara alla divulgazione tradizionale, di cui troviamo traccia in molta letteratura classica. 

Nelle Metamorfosi di Ovidio, Ecate è chiamata in causa dalla maga Medea, assieme ad altre entità del mondo ctonio, per invocare il ritorno di Giasone dall’Ade;

Nell’Oedipus, Seneca fa recitare ad un veggente, intento a invocare le ombre del Tartaro, le seguenti parole: “Il cieco Chaos si sta spalancando, e al popolo di Dite si apre una strada verso il regno superno!”, non appena sente l’ululato dei cani infernali che fanno sempre da scorta a Ecate. La dea, quindi, apre il passaggio al corteo delle anime defunte.

Apuleio e Luciano menzionano Ecate come colei che impedisce il ritorno delle anime dei defunti, descrivendo la dea mentre dalla Terra ridiscende nelle dimore infernali accompagnata dal suo corteggio di anime.

Anche la Sibilla, di virgiliana memoria, invoca Ecate “potente in Terra e in Cielo”, prima ancora di Persefone, la Notte e la Terra, e le offre un sacrificio affinché le dia accesso all’Ade.

Nel Bellum Civile di Lucano assistiamo a una scena ambientata in una grotta descritta come “un luogo a metà tra il mondo superno e quello infero”, dove la maga Eritone tenta di rianimare un cadavere con l’invocazione ad Ecate, nume che le permette di entrare in contatto col morto.

In relazione a questo aspetto  magico-stregonico, è necessario menzionare quelle entità demoniache denominate negli oracoli “cani”, e ritenute tradizionalmente far da scorta ad Ecate nelle sue epifanie. Si tratta di creature divoratrici di anime, esseri menzogneri e malvagi  che si approfittano della debolezza umana per ingannare e terrorizzare i mortali, allo scopo di far loro deviare il cammino verso la purificazione.

Il cane è spesso nominato ed associato al lato più oscuro di Ecate.

Ne parla Orazio nella ottava Satira, quando descrive il rituale di evocazione negromantica officiato dalle due megere Sagana e Canidia: mentre esse performano l’orrenda cerimonia, che prevede il sacrificio di un agnello nero femmina, i cani infernali (infernae canes) di Ecate ululano in lontananza.

Anche Virgilio nomina questi cani ululanti che accompagnano l’arrivo della dea, così come Apollonio di Rodi li descrive mentre abbaiano raucamente, quando una Ecate terrificante, la chioma formata da orribili serpenti, emerge dalla terra.

Licrofone fa dire a Cassandra come sua madre Ecuba spaventerà i mortali col suo abbaiare sinistro, accodandosi alla schiera dei cani che accompagnano Ecate nelle sue scorribande notturne.

Questi demoni-cani sono paragonabili ai fantasmi notturni che si credeva accompagnassero la dea durante le sue apparizioni, e avevano la capacità portare l’uomo alla pazzia. La loro funzione era quella di esaudire le invocazioni e le maledizioni pronunciate dal mago nel corso delle cerimonie negromantiche, in cui non si mancava mai di pronunciare il nome di Ecate che, in virtù della sua natura di intermediaria, non può che essere la dominatrice di queste essenze a loro volta intermedie, siano esse positive o negative, buone o malvagie. 

Ciò non è in contrasto con l’immagine salvifica che emerge dall’analisi della letteratura oracolare caldaica operata dalle correnti medio-platoniche, a cavallo tra il II e il III sec. d.C., tuttavia, nella letteratura classica greca e latina, così come nei papiri magici, prevale decisamente l’aspetto ctonio ed infernale.

Anche nella dottrina neoplatonica, in cui Ecate viene identificata con l’Anima Cosmica/Physis, rimane comunque un’entità tentatrice, dal momento che così come può elevare le anime individuali; allo stesso modo, complici i demoni che le fanno corteggio, può attrarle inesorabilmente verso il basso.

La connessione tra Ecate e il magico non ha mai perso la sua forza suggestiva: anche nel sistema neoplatonico Ecate è una divinità oracolare, in grado di dare informazioni al teurgo sulle modalità di utilizzo dei mezzi magici, in modo da riuscire a oltrepassare i limiti del mondo fisico. Il tramite tra il teurgo e la divinità è la cosiddetta simpatia cosmica, resa attiva da Ecate.

Questa corrispondenza simpatica si attiva grazie all’utilizzo di simboli, emblemi o mezzi magici, come la cosiddetta Trottola di Ecate descritta da Psello:

[…] una sfera dorata costruita attorno a uno zaffiro e fatta girare tramite una cinghia di cuoio, con sopra dei caratteri incisi. Facendola girare (il teurgo) era solito operare delle invocazioni. Ed essi solevano chiamare questo strumento iugx,  che fosse sferico, triangolare, o di altra forma. Girandolo, produceva dei suoni particolari, imitando il verso di una bestia, ridendo o facendo piangere l’aria. (L’oracolo) insegna che il movimento della trottola, con il suo potere ineffabile, portava a termine il rito. E’ chiamata Trottola di Ecate poiché è consacrata a Ecate.

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La Trottola di Ecate, detta anche “Cerchio Magico”, è in grado di ispirare visioni profetiche, rimandando all’aspetto lunare della dea, chiamata anche Antea, ossia “colei che invia le visioni”.

L’ispirazione lunare spesso si confonde con la pazzia: il tipo di comprensione o ispirazione data dalla Luna non è un pensiero razionale, ma è più simile all’intuizione artistica del sognatore o del veggente.

Per quanto riguarda l’uso della Trottola nelle cerimonie magiche, esso è documentato già dall’antichità: viene utilizzata nei rituali di envoûtement per il suo potere di provocare l’amore, nelle cerimonie atte a chiamare tempeste e temporali, e nelle evocazioni per il suo potere di determinare l’apparizione della divinità.

La potenza dello strumento risiede nel fatto di produrre suoni incantatori, che si credeva avessero un effetto propedeutico nell’aiutare la simpatia tra gli elementi del cosmo, armonizzandoli tra loro. 

Il movimento armonico delle sfere rotanti, infatti, determinava mimeticamente, per analogia, quello delle sfere celesti e, perciò, degli esseri cosmici.

Il suono ha, dunque, un ruolo fondamentale nel processo magico, così come ogni altro espediente che fosse in grado di attivare il processo simpatetico: erbe, pietre, conchiglie ed animali.

Tornando ad Ecate, essa ha un ruolo fondamentale nell’attivazione di questa simpatia ed armonia cosmica, poiché presiede al funzionamento degli iugx, che nella dottrina caldaica, poi mediata dal neoplatonismo, vengono identificati con i simboli che rimandano alle Idee (carattere di intermediazione proprio e peculiare di Ecate).

Spesso, questi simboli coincidono con delle parole magiche e segrete, pronunciate dall’officiante nel corso della cerimonia teurgica.

Questi incantesimi provocano l’apparizione di Ecate, descritta in tre frammenti degli Oracula sotto forma di fuoco, luce o nell’aspetto di un cavallo bianco. Il suo arrivo è preannunciato dall’oscurarsi del cielo, dallo spaventoso tremore della terra e dalla materializzazione di un fuoco parlante che dà responsi.

Le manifestazioni fisiche abnormi che da sempre accompagnano l’avvento di un’entità numinosa, si devono al fatto che ciò rappresenta la rottura di un limite, il passaggio dalla sfera immortale a quella mortale.

La visione dell’universo equivale a quella di una struttura divisa in zone gerarchicamente separate: l’Olimpo abitato dagli dei, la Luna regno delle anime, la Terra per gli uomini.

Il rovesciamento di questa gerarchia provoca un momentaneo disturbo dell’ordine cosmico, che si palesa con eventi catastrofici o eclatanti.

Per quanto riguarda invece l’apparizione di un fuoco parlante, che rappresenta fisicamente la voce di Ecate, va sottolineato come spesso – e non solo nel sistema caldeo – la luce ed il fuoco si associno al divino: appare simbolicamente evidente come questi elementi rappresentino il raggiungimento della conoscenza e il contatto con una dimensione superiore.

Basti  pensare alle loro caratteristiche di luminosità e al loro simbolismo ascensionale che le mette in relazione alla dimensione celeste. In questo caso la visione non è spaventosa né terrificante, ma sinonimo di bellezza: questa ambiguità nella connotazione dell’aspetto di Ecate è un suo carattere peculiare, e la dea può risultare tanto orribile quanto splendida.

Negli stessi frammenti presi in considerazione, essa viene descritta anche sotto forma equina: in realtà, sono poche le esplicite associazioni della dea con il cavallo, e comunque sono successive a quella che ritroviamo nei frammenti considerati. Piuttosto, è più corretto considerare quello equino come uno dei tre volti di Ecate nella sua forma triadica. 

Un frammento di Porfirio ci presenta un vero e proprio ritratto di Ecate nel suo aspetto sincretico: “Eccomi, una vergine con varie forme, che vaga nei cieli”. La divinità viene qui descritta in alcuni suoi attributi come Selene, come Eleithya e come Artemide: con volto di cane, tre teste, inesorabile, con dardi dorati.

In questo passo, Porfirio descrive gli attributi lunari di una statuetta che effigia la figura di Ecate: vesti bianche, sandali dorati – o bronzei, a seconda che si tratti di Luna crescente o Luna piena – e delle torce accese tra le mani. Nelle braccia, un canestro pieno di frumento, un ramo d’olivo e dei fiori di papavero.

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