Sette Dei

Shichifukujin: I Sette Dei della Buona Fortuna

Di tutto l’affollato e vivace pantheon giapponese, di cui sono entrate a far parte anche numerose divinità buddhiste, soltanto sette sono state scelte per rappresentare gli Déi della Buona Fortuna.

Sette è un numero sacro anche in Giappone: lo incontriamo in espressioni come “i sette corpi celesti”, “i sette gioielli” e “i sette saggi del boschetto di bambù”.

shichifukujinSi ritiene che il culto dei Shichifukujin avuto origine nel periodo Muromachi, a causa dell’influenza del tema iconografico cinese proprio dei Sette Saggi del Boschetto di bambù.

Si ritiene che il culto dei Shichifukujin avuto origine nel periodo Muromachi, a causa dell’influenza del tema iconografico cinese proprio dei Sette Saggi del Boschetto di bambù.

Alcuni però sostengono che il detto “sette buone fortune” abbia avuto origine nei “sette problemi e sette buone fortune” menzionate nel sutra Niō gokoku hannya haramitsu-kyō.

Dal primo periodo moderno, i Shichifukujin hanno continuato a formare un soggetto popolare per la pittura, la scultura e le rappresentazioni popolari.

Le immagini dei Sette che cavalcavano le onde a bordo della loro “nave del tesoro”, divennero un argomento comune, e i pellegrinaggi nei santuari e nei templi facenti parte del circuito dedicato ai Sette, divennero un’attività popolare.

Il mini-pantheon dei Sette Déi della Buona Fortuna – Shichifukujin – è formato da queste divinità:

Ebisu: considerato un tutelare della pesca, del commercio e dell’agricoltura

Daikoku: si ritiene che sia stato originariamente un tutelare indiano della cucina chiamato Mahākalā, ma sulla base della omofonica lettura sino-giapponese del nome “dai-koku”, è stato identificato con il Kami Ōkuninushi, assumendo il ruolo di divinità tutelare dell’agricoltura.

Bishamonten: capo dei quattro Shitenno, guardiani delle quattro direzioni.

Benzaiten: dea dell’acqua, della musica, dell’eloquenza e in generale di tutto ciò che scorre.

Hōtei: si ritiene che la figura di Hotei si sia originata nel sacerdote Chan/Zen Qì-cĭ (Kaishi in gapponese) della dinastia dei Liang (907-923); è stato aggiunto ai Sette Dei della Fortuna per l’associazione con il suo atteggiamento contento.

Fukurokuju e Jorojin hanno avuto origine nel taoismo cinese, dove sono stati visti come personificazioni della stella polare meridionale che, secondo l’astrologia cinese, aveva giurisdizione sulla longevità umana. Durante il primo periodo moderno, Fukurōju e Jurōjin furono spesso identificati come la stessa divinità, con il risultato che la dea Kichijōten o le mitiche bestie chiamate Shōjō furono aggiunte per fare un totale di sette divinità.

Kichijōten o Kisshōten (in India é Śrīmahādevī); era originariamente la dea indiana Lakshmi, che nel buddismo era interpretata come la consorte di Bishamonten e venerata come tutelare della bellezza, della fortuna e della ricchezza. Quando Kisshoutennyo è annoverato tra i sette Fukujin e Daikoku è considerato nella sua forma femminile, conosciuta come Daikokunyo o Daikokutennyo,tutte e tre le dee indiane della Tridevi sono rappresentate nel Fukujin.

Shōjō, è un termine che oggigiorno in Cina indica gli orangutan, ma in passato indicava animali mitologici simili a scimmie ma capaci di parlare, famosi per la loro passione per le bevande alcoliche.

Ebisu

shichifukujinEbisu è l’unico membro dei Sette che si ritiene abbia avuto origine in Giappone, senza nessuna influenza estera.

Ebisu è l’unico membro dei Sette che si ritiene abbia avuto origine in Giappone, senza nessuna influenza estera.

Originariamente conosciuto come Hiruko, il primo figlio di Izanagi e Izanami, si diceva fosse nato senza ossa a causa della trasgressione della madre durante il rituale del matrimonio, avendo preso l’iniziativa parlando per prima.

Hiruko fu abbandonato in mare, sopra una barca di canne, e le correnti fluttuanti lo cullarono trasportandolo fin sulle rive dell’antico Hokkaidō.

Qui venne raccolto e curato dall’Ainu Ebisu Saburo.

Hiruko crebbe e superò i suoi handicap: rimase un po’ paralizzato e sordo, ma comunque sviluppò un buon carattere sempre allegro, fino a diventare “Il Dio che ride”.

Il nome Ebisu è stato scritto in diversi modi, con diversi caratteri kanji in varie combinazioni, ma né l’attribuzione del nome né le caratteristiche del Kami sono ambigue e, comunque, l’etimologia del nome Ebisu è sempre stata legata alla parola emishi, che significa “straniero” o “barbaro”.

shichifukujinEbisu è spesso raffigurato con un cappello nero, con una canna da pesca in una mano e una grande orata – o spigola – nell’altra.

Ebisu è spesso raffigurato con un cappello nero, con una canna da pesca in una mano e una grande orata – o spigola – nell’altra.

Anche le meduse sono spesso associate a questa divinità e i ristoranti giapponesi fugu, che sanno preparare e cucinare il velenosissimo pesce palla, spesso incorporano Ebisu nel loro logo.

Per questa sua rappresentazione, Ebisu è considerato il dio dei pescatori ed alcuni ritengono che sia questa la sua prima versione, mentre la sua origine come Hiruko sia stata una concezione molto più tarda, dopo che il culto si era diffuso tra i mercanti.

Si è anche teorizzato che Ebisu fosse originariamente un dio noto come Kotoronushi no Mikoto, figlio di Ōkuninushi, Gran Maestro della Terra, sovrano del mondo invisibile, degli spiriti e della magia. Si crede che sia un dio della costruzione della nazione, dell’agricoltura, degli affari e della medicina.

Questa coppia padre-figlio è la medesima Ebisu-Daikoku che, in alcuni versioni dei miti, sono, appunto, padre e figlio, oppure maestro e apprendista.

Entrambi vengono spesso esposti come divinità gemellate dai piccoli negozianti.

Talvolta insieme a lor c’è anche Fukurokuju, e allora sono detti i Tre Dei della Buona Fortuna.

Nei villaggi costieri, Ebisu è spesso adorato in piccoli santuari (hokora) come una divinità molto generosa per i pescatori.

Ogni anno, all’inizio della stagione della pesca, è usanza che i capitani e i giovani uomini si immergano con gli occhi bendati nell’oceano per poi riportare indietro delle rocce in cui si percepisce il Kami Ebisu.

Allo stesso modo, anche balene, squali, delfini che si spiaggiano e persino cadaveri umani trovati galleggianti nell’oceano possono essere visti come Ebisu.

Col tempo, il culto di Ebisu si è diffuso tra i mercanti e così la sua divinità ha assunto caratteristiche come tutelare del commercio, celebrato nel festival Tōka Ebisu, che si tiene ogni 10 gennaio nel santuario Nishinomiya a Hyōgo e nel tempio Imamiya Ebisu di Osaka.

I santuari di Ebisu come tutelare dei mercanti furono dedicati all’interno del tempio Tōdaiji a Nara nel 1163 e a Tsurugaoka Hachimangū di Kamakura nel 1253. Questi santuari attirarono gradualmente la devozione dei mercanti, in concomitanza con l’espansione del commercio.

Alcuni villaggi di montagna usano il nome Ebisu per riferirsi al loro Kami della montagna (Yama no Kami), suggerendo che il culto di Ebisu si è sovrapposto al viaggio annuale dei Kami dei campi (ta no kami) e dei Kami delle montagne.

E così il nostro Ebisu ha asssunto un ruolo aggiuntivo anche come Kami dell’agricoltura, che porta abbondanti raccolti, venerato con offerte di piantine da trapianto di riso all’inizio di ogni anno.

La festa di Ebisu si celebra il ventesimo giorno del decimo mese, (20 ottobre), il Kaminazuki detto il mese senza dei. Tuttavia, il carattere 無, che normalmente significa “assente” o “non c’è” era, nel nome Kaminazuki, probabilmente solo per il suono “na”, che è una particella possessiva; quindi Kaminazuki significa “mese degli dei”, non “mese senza dei”.

Ad ogni modo, nella tradizione shintoista, si diceva che, in questo giorno, gli otto milioni di Kami lasciavano i loro santuari e si riunivano a Izumo Taisha. Lì, il mese era conosciuto come Kamiarizuki ( 神 在 月 ) , il mese in cui gli dei sono presenti.

Tutto ciò è comunemente interpretato come se quel mese tutti Kami si ritrovino nel santuario di Izumo, dunque non sono disponibili in tutto il Giappone. Soltanto Hiruko, essendo sordo, non sente la convocazione annuale ed è quindi disponibile per l’adorazione.

Daikokuten

Daikokuten 1Daikoku, diminutivo di Daikokuten, è comunemente raffigurato in piedi su due balle di riso, con una poderosa mazza di legno nella mano destra e un sacco pieno di tesori sulla spalla sinistra.

Nelle vicinanze ci sono spesso dei topi, che indicano l’abbondanza del cibo.

Talvolta la mazza è chiamata Uchide no kozuchi, altrimenti noto come “maglio della fortuna”: si tratta di un martello magico che può far materializzare qualsiasi cosa si desideri.

Si dice che Daikoku sia derivato dalla divinità indiana Mahākalā, variamente descritta come un’incarnazione di Shiva, oppure come un’incarnazione di Daijizaiten, un nome giapponese alternativo per Shiva che agisce come un Dio della guerra.

In questa forma, Daikokuten è stato a volte raffigurato con tre facce accigliate e sei braccia.

Secondo il Nankai kikinaihōden, compilato dalla dinastia Tang Yì-Jìng (in giapponese detta Gijō, 635-713), i templi buddisti in India incastonarono Daikokuten sui pilastri della cucina come un dio della fortuna, raffigurandolo mentre regge un sacco con due braccia di colore nero.

sanmen daikokuFu questo il culto di Daikokuten che il fondatore della setta Tendai Saichō introdusse in Giappone, dando luogo alla pratica di venerarlo come tutelare della cucina nei templi Tendai giapponesi, inducendo anche all’usanza di chiamare le mogli dei preti “Daikoku-san”.

Fu questo il culto di Daikokuten che il fondatore della setta Tendai Saichō introdusse in Giappone, dando luogo alla pratica di venerarlo come tutelare della cucina nei templi Tendai giapponesi, inducendo anche all’usanza di chiamare le mogli dei preti “Daikoku-san”.

Fu in questo passaggio che Daikoku assunse la sua piacevole espressione serena al posto dello spaventoso cipiglio che aveva in India.

Una volta giunto in Giappone, la fusione di Kami con le divinità buddiste, a cominciare dal periodo medievale, portò all’associazione di Daikoku con il nativo Kami Ōkuninushi, basandosi sulla somiglianza omofonica dei caratteri sino-giapponesi usati nei loro nomi: i kanji che formano la parola “ōkuni” possono anche essere letti come “daikoku”.

Okuninushi è un Kami conosciuto con numerosi nomi alternativi, ma il nome Ōkuninushi, che significa Maestro della Terra Grande, è stato dato per rappresentare l’intera gamma degli attributi del Kami.

Secondo il Kojiki, Okuninushi accompagnò i suoi ottanta fratelli maggiori che andavano a corteggiare la fanciulla Yagamihime nella provincia di Inaba, la quale scelse di sposare proprio lui, causando un grave malcontento. Fu proprio durante la strada per arrivare a Inaba, Okuninushi incontrò il coniglio bianco che divenne il suo messaggero.

Nel tardo periodo Muromachi, Daikoku venne inserito, insieme a Ebisu, tra i Sette Shichifukujin.

L’usanza di incastrare Daikoku ed Ebisu insieme, era già presente, in quanto aveva avuto origine dal fatto che l’oggetto principale di culto (saijin) nel Santuario Nishinomiya era Ebisu Saburō, una figura identificata simultaneamente con Ōkuninushi no kami e Kotoshironushi no kami.

Alla fine, comunque, Ebisu venne identificato come Kotoshironushi no kami da solo, lasciando quindi Daikoku (Ōkuninushi) come una figura separata. Entrambi vennero incastonati nelle case nella zona della cucina, i mercanti li adorano i come numi tutelari del successo commerciale e gli agricoltori li venerano come tutelari della risaia.

Il compendio di Butsuzōzui del 1690 (ristampato ed espanso nel 1796) elenca ed illustra sei diverse manifestazioni di Daikoku, inclusa la forma femminile conosciuta come Daikokunyo, “Lei della Grande Nerezza”, o Daikokutennyo “Lei della grande oscurità dei cieli”.

Come Daikoku è la forma nipponizzata del Mahākāla maschile, così Daikokutennyo è la forma nipponizzata del Mahākāli femminile. I giapponesi hanno mantenuto il simbolo di Mahakala come monogramma: i pellegrini che scalano il santo Monte Ontake indossano tenugui (una specie di sciarpa bianca) con la sillaba del seme di Mahakala.

Quando Daikoku è considerato il Daikokutennyo femminile e Kisshoutennyo è annoverato tra i Sichifukujin, tutte e tre le dee indiane della Tridevi sono rappresentate tra i Sette Déi della Buona Fortuna.

Bishamonten

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Bishamonten

Bishamonten, detto anche Bishamon, oppure Tamonten (abbreviato in Tamon) significa “che ascolta molti insegnamenti”, perché è visto come il guardiano dei luoghi in cui predica il Buddha.

E’ una divinità sincretica, unisce la divinità buddhista Vaisravana con il Kami Yahata no kami.

Vaiśravaṇa a sua volta trova origini nella divinità hindu Kubera.

Kubera è considerato il reggente del Nord (Dik-pala ) e i suoi numerosi epiteti lo esaltano come il signore di numerose specie semi-divine e il proprietario dei tesori del mondo.

Spesso raffigurato con un corpo paffuto, ornato di gioielli e con un vaso per soldi e un bastone.


Sebbene le divinità buddista Vaisravana e la divinità hindu Kubera condividano alcune caratteristiche ed epiteti, ognuna di esse ha diverse funzioni e miti associati.

Vaiśravaṇa è diventato un personaggio nella religione popolare, in questo modo ha acquisito un’identità parzialmente indipendente dalla tradizione buddista. E’ il guardiano della direzione settentrionale.

È spesso ritratto con una faccia gialla; porta un ombrello o un parasole (chatra) come simbolo della sua sovranità. A volte tiene in mano una mangusta che sputa gioielli dalla bocca, come simbolo di generosità. La mangusta è il nemico del serpente, un simbolo di avidità e odio.

Riguardo al Kami Yahata no kami, esso divenne, nell’VIII secolo, Hachiman, il Kami della guerra, protettore dei guerrieri, ma anche il protettore divino del Giappone e del popolo giapponese, nonché della casa imperiale e del clan Minamoto (“Genji”). La maggior parte dei samurai lo adoravano, soprattutto come punitore dei malfattori e simbolo di autorità.

Il nome Hachiman significa “Dio dagli Otto Stendardi”, in riferimento agli otto stendardi celesti che indicavano la nascita dell’imperatore divino Ōjin.

Il suo animale simbolico e messaggero è la colomba.

Bishamonten, nato dalla fusione sincretica di queste divinità, è uno dei Quattro Re Celesti detti Shitenno, ognuno dei quali sorveglia una direzione cardinale.

Bishamonten è generalmente rappresentato in armatura, con una lancia nella mano destra, intento a sorreggere una piccola pagoda dorata con la sinistra. La pagoda rappresenta il forziere divino, il cui contenuto egli al contempo protegge e distribuisce.

Benzaiten

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Benzaiten è conosciuta anche come Benten o Benzaitennyo (tennyo si traduce come “dea”); a volte viene chiamata Myoonten, “dea dei suoni meravigliosi”.

Benten la dea di tutto ciò che scorre: dall’acqua, alla musica, alle parole e, per estensione, al discorso, all’eloquenza, alla conoscenza.

Il culto di Benzaiten arrivò in Giappone tra il VI e l’VIII secolo, principalmente attraverso le traduzioni cinesi del Sutra della Luce Dorata, che ha una sezione dedicata a lei.

Poiché il Sutra della Luce Dorata prometteva la protezione dello Stato, in Giappone Benzaiten fu inizialmente una divinità protettrice innanzitutto dello Stato e del popolo.

Divenne una Sichifukujin quando il suo nome venne scritto con caratteri sino-giapponesi. I caratteri originali usati per scrivere il suo nome leggevano “Biancaitian” in cinese, che in giapponese divenne foneticamente “Bensaiten”, e riflettono il ruolo di dea dell’eloquenza.

Benzaiten è l’equivalente giapponese della dea hindu Saraswati. Benten è’ spesso raffigurata con un biwa, un liuto tradizionale giapponese, proprio come Saraswati tiene in mano una vina.

Nel Rig-Veda Saraswati ha il merito di aver ucciso il Vritra a tre teste noto anche come Ahi, “serpente”. Vritra è anche fortemente associato con i fiumi, come lo è Saraswati.

Questa è probabilmente una delle fonti della stretta associazione di Sarasvati/Benzaiten con serpenti e i draghi, in Giappone.

Benzaiten e un drago a cinque teste sono i protagonisti dell’Enoshima Engi, una storia dei santuari di Enoshima scritta dal monaco buddista giapponese Kōkei nel 1047 d.C.

Secondo Kōkei, Benzaiten è la terza figlia del drago-re di Munetsuchi (letteralmente “lago senza calore”), conosciuto in sanscrito come Anavatapta, il lago che giace al centro del mondo, secondo un’antica visione cosmologica buddista.

Documenti precedenti registrati dai monaci buddisti, collegano l’aspetto periodico delle comete con la dea Benzaiten. Ad esempio, la cometa che apparve nel 552 d.C. e di nuovo alla fine del 593 d.C. erano associati alla divinità Benzaiten.

Questi documenti suggeriscono che lo scambio di idee culturali e spirituali dal buddismo e dall’induismo in India al Giappone, avvenne molto prima del V secolo.

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Hotei

shichifukujinHotei è conosciuto nel mondo occidentale come il Buddha che Ride.

Hotei è conosciuto nel mondo occidentale come il Buddha che Ride.

E’ probabilmente il più popolare degli dei giapponesi: la sua immagine abbellisce molti templi, ristoranti e amuleti.

Hotei ha origine da Budai, un monaco cinese semi-storico della scuola Chan (scuola cinese del Buddhimo Mahayana), vissuto presumibilmente introno al X secolo, nel regno Wuyue.

La prova testuale principale della sua esistenza è la presenza di Budai in una collezione di biografie dei monaci buddisti zen conosciuta come “Jingde Chuandeng Lu”.

Il nome Budai, che in giapponese è diventato Hotei, significa letteralmente sacco di stoffa, in riferimento alla sua raffigurazione: un monaco grasso e calvo, che indossa una semplice veste, con un sacco in cui trasporta i suoi pochi oggetti con cui vaga senza meta per il mondo, povero ma felice.

Sul suo viso spicca un sorriso gioioso, che esprime una personalità allegra e spiritosa, dallo stile di vita eccentrico, che lo distinguono dalla maggior parte dei maestri e delle figure buddiste. Da qui, il suo soprannome in cinese, il “Buddha che Ride”.

Si narra che Hotai fosse solito intrattenere i bambini che lo seguivano adoranti, che fosse conosciuto per il gesto di accarezzarsi felicemente la sua grande pancia, che fosse in grado di predire le condizioni meteorologiche ed anche di rivelare alle persone la loro fortuna.

Il monaco errante era incline a dormire ovunque arrivasse, anche all’aperto, perché i suoi poteri mistici potevano allontanare il freddo pungente della neve ed il suo corpo non poteva essere toccato.

In una nota datata 916 d.C., che il monaco stesso scrisse di suo pugno poco prima di morire, afferma che egli è un’incarnazione del Maitreya, il Buddha del futuro.

Budai fu uno dei tanti “santi non salvati” (in cinese: sansheng), incorporati nel Pantheon Zen in rappresentanza della felicità, della contentezza e dell’abbondanza. La loro personalità e le qualità peculiari esprimevano l’impegno della tradizione Chan verso un’idea di “risveglio”, che favoriva la diffusione del culto ampliando così la congregazione.

Tuttavia, simili figure eccentriche non furono mai inserite ufficialmente nella linea del patriarcato Chan, proprio perché non rientravano nel lignaggio patriarcale per legittimità.

In definitiva, Budai era riverito dal punto di vista folklorico come uno strano monaco vagabondo, ma anche come nuovo personaggio all’interno del contesto della tradizione Chan.

Budai era una sorta di sacerdote mendicante che portava abbondanza, fortuna e gioia a tutti quelli che incontrava, con l’aiuto della sua mistica borsa “sacco di stoffa” che, malgrado misera, rappresentava l’abbondanza.

Il Buddhismo Zen fu trasmesso al Giappone intorno al XIII secolo, i devoti monaci e laici della zona utilizzarono la pittura figurativa per ritrarre i personaggi centrali di questo periodo di “risveglio” dell’arte Zen.

Fu così che in Giapone, Hotei è diventato la divinità della felicità, della contentezza, e dell’abbondanza.

Come dimostrano le immagini, Budai è esultante quando è in presenza di altri, in particolare dei bambini, mentre quando è raffigurato con i Shichifukujin mantiene un volto solenne o addirittura depresso.

Fukurokuju

shichifukujinFukurokuju è un nome che deriva dalle parole giapponesi: fuku “felicità”, roku “ricchezza” e ju “longevità”.

Fukurokuju è un nome che deriva dalle parole giapponesi: fuku “felicità”, roku “ricchezza” e ju “longevità”.

E’ il dio della saggezza e della longevità. Viene raffigurato come un uomo con la fronte alta, calvo, con lunghi baffi, che porta sempre un bastone.

Si dice che il libro sacro legato al suo bastone contenga la vita di ogni persona sulla Terra.

Suoi compagni sono una tartaruga, simbolo di lunga vita, e una gru, simbolo di saggezza.

È stato ipotizzato che Fukurokuju sia un’assimilazione giapponese degli Dei cinesi delle tre stelle (Fulushou), che sono:

  • Fu (福), Fuxing福星, si riferisce al pianeta Giove e rappresenta la prosperità
  • Lu (禄), Luxing禄 星, è Zeta Ursae Majoris e rappresenta la saggezza
  • Shou (壽), Shouxing寿星, è α Carinae ( Canopus ), la stella del polo sud nell’astronomia cinese, e rappresenta la longevità.

In particolare si ritiene che Fukurokuju corrisponda a Lu.

Altri ritengono che Fukurokuju fosse una reincarnazione del dio taoista Xuanwu.

Fukurokuju non è stato sempre incluso nelle rappresentazioni dei Shichifukujin.

Fu sostituito da Kichijōten, dea della fortuna, della bellezza e del merito). Ora, però, è un membro stabile dei Sette Dei della Buona Fortuna, l’unico che ha la facoltà di resuscitare i morti.

A volte viene confuso con Jurōjin , un altro Shichifukujin che, secondo alcuni, è il nipote di Fukurokuju; alcuni ritengono persino che i due condividano lo stesso corpo, per quanto si confondono.

Jurōjin o Gama

shichifukujin

Jurōjin, conosciuto anche come Gama, rappresenta la longevità.

Viene spesso visto con un ventaglio in una mano e un bastone nell’altra.

A volte è accompagnato da un cervo nero: antiche leggende dicono che un cervo diventa nero se ha più di 2000 anni.

Jurōjin ha origine da una divinità taoista cinese che, prima di raggiungere la divinità, era un eremita della dinastia Song, noto per aver compiuto miracoli nel periodo della canzone del nord (960-1127).

In Cina, questo eremita incarna i poteri celesti della stella polare del sud.

Si dice che, durante la sua incarnazione umana, fosse un sennin, un filosofo che potrebbe esistere senza mangiare cibo.

Ad ogni modo, potrebbe essere stato realmente una figura storica del periodo.

Mentre i dipinti e le statue di Jurōjin sono considerati di buon auspicio, questa divinità non ha mai sviluppato un seguito indipendente dagli altri del gruppo dei Sichifukujin.

È raffigurato come un vecchio di bassa statura, per tradizione meno di 3 shaku (circa 90 centimetri), con una lunga barba bianca.

Jurōjin è spesso confuso o identificato con Fukurokuju.

Kichijōten

shichifukujinKichijōten è la dea giapponese corrispondente alla hindu Lakshmi,

Kichijōten è la dea giapponese corrispondente alla hindu Lakshmi,

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Con le dee Parvati e Saraswati, Lakshmi forma la Tridevi, la santa trinità.

Kichijōten era popolare in Giappone già nel periodo Nara, rappresentata nell’arte come una bella dama, vestita di preziosi costumi e ornata di raffinati gioielli, ripresa in piedi su un fiore di loto ed evidenziata nei suoi attributi, cioè la perla o la collana che tiene nella mano.

Spesso è raffigurata quale accolita di Kannon (Avalokiteśvara) o di Bishamonten (Vaisravana).

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