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Yurei. Fantasmi Giapponesi

La Festa di Obon, gli Ujigami e i Gaki

Che cos’è uno Yurei?

Funa Yurei, i Caduti in Mare

Onryo, gli Spiriti Vendicativi

Goryo, Vittime di Complotti Politici

Ikiryo, gli Spiriti dei Viventi

 

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La Festa di Obon, gli Ujigami e i Gaki

Gli spiriti di alcune persone, dopo la morte, rimangono intrappolati nel mondo dei vivi, schiavi delle loro frustrazioni. Questi spiriti non diventano Kami, ma sono detti Yurei. 

Secondo la tradizione giapponese, tutti gli esseri umani hanno uno spirito – o anima – detto reikon. Quando una persona muore, il reikon lascia il corpo e resta in attesa del funerale e dei riti successivi, prima di potersi riunire ai propri antenati nell’aldilà. In questo periodo di tempo, lo spirito del defunto attraversa una sorta di limbo che separa il mondo dei vivi da quello dei morti. Solo dopo i dovuti riti, lo spirito può trasferirsi definitivamente nello Yomi, il mondo dei morti.

Il mondo dei morti, detto Yomi, è separato da quello dei vivi da una sorta di limbo in cui transitano le anime dei defunti prima di trasferirsi definitivamente nello Yomi.

Gli spiriti che si trovano in questo limbo, se animati da emozioni molto forti, oppure a causa di una morte violenta, o ancora se i riti funebri non sono eseguiti, possono trasformarsi in Yurei. 

Tuttavia, agire sul mondo fisico dal mondo spirituale richiede una grande energia psico-emotiva, dunque solo gli spiriti molto potenti possono diventare Yurei. 

Se le cerimonie sono svolte nel modo appropriato, lo spirito del defunto diventa un Kami protettore della famiglia. Tornerà a  far visita ai suoi cari ogni anno, durante la festa Obon, quando i vivi porgono ai defunti i propri ringraziamenti.

La festa di Obon, abbreviazione di urabon’e, corrisponde alla festa buddhista Ullambana, che in sanscrito significa “appeso a testa in giù”. E’ una ricorrenza dedicata ai morti, agli antenati, ma anche agli esseri che si trovano negli inferni e ai Preta, che in giapponese si chiamano Gaki. 

L’origine della festa deriva dal Ullambanasūtra, in cui si narra che un giorno Maudgalyayāna (in giapponese: Mokuren), uno dei più importanti discepoli del Buddha Gautama Siddhartha, grazie ai poteri meditativi, si mise alla ricerca della madre morta.

La trovò, ma era diventata un Preta: era tormentata da una fame insaziabile ma aveva una bocca e un collo strettissimi, da non poter mandar giù nulla. Inoltre, ogni qual volta portava un boccone alla bocca, il cibo si trasformava in fiamme ardenti.

Il discepolo chiese il motivo di tutto ciò al Buddha: la causa era dovuta al fatto che, quando era in vita, sua madre non aveva dato del cibo in elemosina a dei monaci, accumulando così karma negativo.

Interrogato su come si potesse salvare la madre, il Buddha rispose che sarebbe stato opportuno stabilire una festa in cui accumulare meriti positivi al posto degli spiriti sprofondati negli inferi proprio per aver accumulato demeriti.

Su queste basi scritturali, si basano quelle che sono le tradizioni e i riti della festa di Obon, in Giappone, dove in Preta si chiamano Gaki.

I Gaki sono fantasmi di persone morte nella pratica ossessiva dei loro vizi, condannate perciò ad avere una sete e una fame insaziabili di particolari oggetti, generalmente ripugnanti e umilianti.

Il Gaki ha la capacità di impossessarsi di chi ha fame. Una volta che una persona è posseduta da un Gaki, la sua fame diventa abissale: il povero malcapitato non è più in grado di muovere nemmeno un singolo passo senza rischiare di cadere per i capogiri. Quindi deve assolutamente mangiare: non importa cosa, ma deve farlo subito.

Nella regione di Niigata,  però, si ritiene saggio evitare di dare cibi qualsiasi ad una persona posseduta dal Gaki: è consigliato dargli prima una tazza di zuppa di miso o, in alternativa, riso con molta acqua.

E’ possibile incontrare il Gaki prevalentemente fra i monti, ma lo si può incontrare anche per le strade cittadine. In alcuni luoghi è chiamato Dari o Hidarushin. 

Esiste un luogo chiamato Gakidake (Monte del Gaki), che è una delle cime della montagna di Konpira. Oggi sembra un tumulo e in cima al quale si trova un tempietto di pietra, ma una volta era adibito alle esecuzioni capitali.
Chi abita da quelle parti sa bene che non deve mai mangiare voltato in quella direzione altrimenti, anche dopo un pasto abbondante, non avrebbe alcun senso di sazietà a causa della maledizione del Gaki.
Sul Monte Ookumotori di Kumano si trova il Gakiana (buco del Gaki): un buco così profondo che chi vi guarda dentro non riesce più a muoversi, tanto che deve essere portato via di peso.
Per evitare questi incovenevoli Gaki, fin dai tempi antichi esiste il rito del segaki (offrire ai Gaki), durante il quale si portano in dono ai questi spiriti cibi e bevande. 
Il Gaki non rientra dunque nella categoria degli Ujigami, nè tanto meno in quella dei Kami, ma appartengono ad una categoria di spiriti detti Yurei. Ma che cos’è, esattamente, uno Yurei?

 

Cos’è uno Yurei?

yureiLa parola Yurei è composta da “yu” che significa flebile, evanescente, oscuro, e “rei” che significa spirito.

Il termine Yurei indica dei fantasmi tormentati, anime di persone defunte incapaci di lasciare il mondo dei vivi e raggiungere in pace l’aldilà, almeno finché non saranno placati.

Sono l’equivalente dei fantasmi occidentali e, come questi ultimi, hanno assunto con l’andare del tempo alcune caratteristiche peculiari. 

All’inizio, la tradizione giapponese non attribuiva agli Yurei un aspetto differente da quello dei comuni esseri umani.

A partire dalla fine XVII secolo però, durante il periodo Edo, si diffuse un gioco detto Hyakumonogatari Kaidankai: si raccontava a turno una storia dell’orrore spegnendo di volta in volta una luce. Si credeva che quando l’ultima luce fosse stata spenta uno Yurei si sarebbe manifestato. 

I kaidan divennero oggetto di letteratura, opere teatrali e dipinti, così gli Yurei assunsero degli attributi che permettevano al pubblico di identificarli immediatamente tra i personaggi.

E’ curioso notare come tali caratteristiche siano identiche a quelle dei fantasmi dell’immaginario collettivo occidentale.

Troviamo, infatti, un ampio abito bianco, che ricorda il kimono funerario in uso durante il periodo Edo; le mani portate in avanti, con il gomito all’altezza dei fianchi, che penzolano senza vita dai polsi; la parte inferiore del corpo è spesso assente, così che lo Yurei fluttua nell’aria; i capelli lunghi (in occidente si credeva che, anche dopo la morte, i capelli continuassero a crescere).

Per finire, gli Yurei sono spesso accompagnati da una coppia di fuochi fatui (hitodama) in sfumature tetre di blu, verde o viola, considerate parte integrante dello spirito. Le hitodama sono entrate a far parte anche della simbologia dei manga e degli anime, in cui, oltre a seguire un fantasma, compaiono anche intorno a persone dall’aria funebre o stati emotivi fortemente depressi.

Un elemento di vestiario che contraddistingue i fantasmi giapponesi, (ma soprattutto in alcune opere teatrali o di carattere comico e reso popolare principalmente da anime e manga) è un fazzoletto detto hitaikakushi, che viene avvolto intorno alla testa che assume una forma triangolare, con la punta rivolta verso l’alto, sulla fronte. 

Uno Yurei può infestare un oggetto, un luogo o addirittura possedere una persona.

Può essere scacciato solo dopo aver risolto il conflitto emotivo che lo tiene legato al mondo dei vivi, e aver celebrato i riti funebri.

Spesso le due cose coincidono, dunque per dar pace ad un fantasma occorre trovare i suoi resti mortali e dargli la dovuta sepoltura.

Altre volte, invece, occorre dar seguito al desiderio di uno Yurei al fine di placarlo; ciò significa dover realizzare la sua vendetta, cosa non sempre possibile. Inoltre, le emozioni dello Yurei potrebbero essere così forti da persistere anche dopo che lo scopo è stato raggiunto.

Per questi casi, anche in Giappone, esistono delle vere e proprie forme di esorcismo. 

Nello Shintoismo è possibile recitare un norito (una preghiera rituale), oppure usare un ofuda (un foglio con impresso il nome di un Kami, del quale assorbe il potere), premendolo sulla fronte del posseduto o spargendone alcuni nell’area infestata.

Nel Buddhismo i monaci possono celebrare dei riti volti a facilitare il passaggio dello spirito nella sua prossima reincarnazione.

Il concetto di Yurei è simile a quello dei “fantasmi affamati” della filosofia buddista. Queste creature si trovano al secondo stato più basso nei Sei Regni dell’Esistenza, che sono:

  1. Il regno dei Deva. La sofferenza degli dei nasce dal prevedere la propria caduta dal regno di Dio. Questa sofferenza deriva dall’orgoglio.
  2. Il regno degli Dei in guerra (asura). La sofferenza degli asura è un combattimento costante. Questa sofferenza deriva dalla gelosia.
  3. Il regno umano. La sofferenza degli esseri umani è nascita, malattia, vecchiaia e morte. Questa sofferenza viene dal desiderio.
  4. Il regno animale. La sofferenza degli animali è la stupidità, il predarsi l’un l’altro, essere uccisi dagli uomini per carne, pelli, ecc. e ancora essere bestie da soma. Questa sofferenza viene dall’ignoranza.
  5. Il regno dei fantasmi affamati. La sofferenza dei fantasmi affamati è la fame e la sete. Questa sofferenza deriva dall’avidità.
  6. Il regno infernale. Le sofferenze dell’inferno sono calde e fredde. Questa sofferenza deriva dalla rabbia e dall’odio.

 

Funayurei, i Caduti in Mare

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Gli Yurei possono essere distinti in base al loro trauma, che costituisce la fonte dell’attaccamento al mondo terreno. 

Abbiamo così: 

  • Jibakurei: gli spiriti dei suicidi o di coloro che sono morti con dei rimpianti;
  • Ubume: spiriti di madri morte nel dare alla luce un figlio e che, di solito, desiderano solo incontrarlo e sapere cosa gli sia accaduto;
  • Zashiki-warashi: i fantasmi dei bambini, generalmente dispettosi;
  • Funayūrei: gli spiriti di marinai morti in mare. 

Si dice che le anime della gente annegata per il rovesciamento di un’imbarcazione siano spinte dal risentimento a causare lo stesso tipo di incidente.

Questo tipo di spettri si chiamano Funayurei, fantasmi della nave. Appaiono spesso in una zona chiamata kikokunada, che significa mare aperto di Kikoku, in Cina, ma sono stati avvistati anche nei mari giapponesi. 
La loro apparizione inizia con l’arrivo di una piccola massa grande come un pugno, che a prima vista sembra cotone bianco: fluttua nell’aria finché non si posa sull’acqua, dove resta per un po’ a galleggiare fra le onde.
Pio, quasi impercettibilmente, le sue dimensioni aumentano poco alla volta, finché inizia a delinearsi un volto umano, e una voce spettrale lancia richiami a invisibili compagni.
Da quel momento, una decina di apparizioni spettrali circondano la barca dello sventurato e la tengono ferma, stringendo le i bordi con le mani. Poi, all’unisono, prendono a ripetere tutti in coro «Dateci gli inata!» alzando sempre di più il tono della voce. In gergo marinaresco, un inata è una sorta di grande mestolo, e gli spettri lo pretendono per poter travasare acqua marina all’interno dell’imbarcazione. I marinai sanno che, se non vogliono rischiare di colare a picco, devono accondiscendere alla richiesta, ma fornendo ai fantasmi degli inata senza fondo. 
Nelle notti di tempesta è abitudine accendere dei falò sulle scogliere per fornire segnali visibili ai barcaioli al largo.
I Funayurei fanno lo stesso, ma accendono le fiamme in mezzo al mare, ingannando i malcapitati, che finiscono dritti fra le loro grinfie e muoiono annegati.
I barcaioli conoscono bene questi trucchi e sanno riconoscere gli inganni degli spiriti: i falò normali restano fermi in un punto, mentre quelli spettrali si spostano in continuazione.
I più attenti sono anche in grado di intravedere le imbarcazioni dei Funayurei: riescono a distinguerle da quelle umane perché, oltre a viaggiare in gruppi di dieci circa, quando hanno le vele spiegate possono andare in qualsiasi direzione, anche contraria a quella del vento.
Pare comunque che anche il barcaiolo più esperto, difficilmente riesce a sopravvivere all’incontro con questi terribili spiriti.

 

Onryō, gli Spiriti Vendicativi

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Gli Onryō sono Yurei animati da un particolare desiderio di vendicarsi dei torti subiti durante la vita terrena, per cui tornano a perseguitare chi li ha maltrattati. 

Benché esistano Onryō di sesso maschile, la maggior parte di quelli rappresentati nel teatro kabuki sono di sesso femminile.

Indifese da vive, questi donne hanno sofferto in vita a causa del marito o dell’amante e, una volta morte, cercano il proprio riscatto.

Diventate potentissime, possono arrivare persino ad uccidere chiunque li incontri o causare disastri naturali. La loro collera colpisce in modo irrazionale.

Uno degli esempi più famosi di Onryō è la storia di Oiwa, tratta dallo Yotsuya Kaidan.

In questa storia, il marito fedifrago rimane assolutamente illeso, benché sia costantemente vittima del tormento psicologico della defunta moglie, ritornata sotto forma di Onryō. 

Pur essendo un’opera teatrale, lo Yotsuya Kaidan incorpora e combina due omicidi sensazionali realmente accaduti.

Il primo coinvolse due servi che avevano assassinato i rispettivi padroni; in seguito vennero catturati e giustiziati lo stesso giorno.

Il secondo omicidio, invece, fu perpetrato da un samurai che scoprì la sua concubina in una relazione con un servo. Il samurai fece inchiodare a una tavola di legno la concubina infedele, mentre il servo fu costretto a gettarsi nel fiume Kanda.

Un’altra storia famosa, appartenente all’area di Izumo e registrata da Lafcadio Hearn, racconta di un samurai che giura alla moglie morente di non risposarsi mai più. Presto, però, rompe la promessa.

Il fantasma della moglie prima lo mette in guardia, poi uccide la giovane sposa strappandole la testa. 

Le sentinelle che erano state addormentate, si risvegliano e inseguono l’apparizione finché, trafiggendola con la spada mentre recitano la preghiera buddhista, la distruggono. 

Alla collezione medievale Konjaku Monogatarishū, appartiene la storia di una moglie abbandonata che viene trovata morta, ma con una chioma particolarmente lunga e fluente e le ossa ancora attaccate le une alle altre. 

Il marito, temendo la vendetta dello spirito, chiede aiuto ad un onmyōji che compie un esorcismo, durante il quale il marito deve resistere mentre afferra il corpo della moglie per i capelli stando a cavalcioni sul suo cadavere. 

Mentre l’origine degli Onryō non è chiara, la fede nella loro esistenza può essere fatta risalire all’VIII secolo, e si basa sull’idea che le anime potenti e infuriate dei morti possano influenzare o danneggiare la gente vivente.

Il primo culto Onryō che si sviluppò, fu intorno al principe Nagaya che morì nel 729: ricevendo la pena di morte per una falsa accusa, fu costretto a suicidarsi. 

Il primo episodio registrato di una possessione da parte di uno spirito Onryō in grado di influenzare la salute di un vivente, si trova nella cronaca Shoku Nihongi (797).

Si narra che l’anima di Fujiwara Hirotsugu danneggiò a morte il prete Genbō, un monaco erudito e burocrate della corte imperiale di Nara, meglio conosciuto come leader della setta del buddismo Hossō. 

Hirotsugu morì in un’insurrezione chiamata “Ribellione di Fujiwara no Hirotsugu”, dopo aver fallito nel tentativo di rimuovere dal potere il suo rivale, Genbō. 

In seguito, Genbō fu esiliato a Dazaifu sull’isola di Kyushu e, al momento della sua morte, si credette che fosse stato ucciso dallo spirito vendicativo di Hirotsugu.

Nel linguaggio comune, la vendetta perpetrata da esseri o forze soprannaturali viene chiamata tatari.

 

Goryo, Vittime di Complotti Politici

sugawara no michizaneGli Onryo sono tradizionalmente ritenuti capace di causare non solo la morte del loro nemico, come nel caso dello spirito vendicativo di Hirotsugu, ma anche di provocare disastri naturali come terremoti, incendi, tempeste, siccità, carestie e pestilenze.

Uno di questi è il caso dello spirito del principe Sawara, amareggiato contro suo fratello, l’imperatore Kanmu. 

Kanmu aveva accusato Sawara di complottare, forse falsamente, con l’unico scopo di rimuoverlo come rivale al trono, e come conseguenza Sawara, esiliato, morì digiunando.

In seguito, la ragione per cui l’Imperatore trasferì la capitale da Nagaoka-kyō a Kyoto fu per il tentativo di evitare l’ira dello spirito di Sawara, almeno secondo alcuni studiosi. 

Non riuscendoci, l’imperatore cercò di placare il fantasma del fratello eseguendo riti buddisti per rendergli omaggio e concedendo al principe Sawara il titolo postumo di imperatore. 

Gli spiriti che non trovano pace perché vittime di complotti politici che li hanno portati alla morte, vengono chiamati Goryo. Come tutti gli Yurei, possono essere placati.

Un noto esempio di pacificazione dello spirito Goryo è il caso di Sugawara no Michizane, disonorato politicamente e morto in esilio. 

In seguito, il suo spirito irato causò la morte dei suoi calunniatori in rapida successione, oltre a catastrofi naturali, soprattutto incendi provocati da fulmini.

Alla fine, la corte placò lo spirito di Michizane ripristinando il vecchio rango e la sua posizione politica. Venne anche deificato nel culto del Tenjin, con dei santuari di Tenman-gū eretti in suo onore.

Michizane è dunque diventato un Kami, il Kami dello studio e della cultura.

 

Ikiryo, gli Spiriti dei Viventi

IkiryoIkiryō significa letteralmente “fantasma vivente”.

Si tratta dello spirito di una persona viva, che lascia il corpo fisico per andare a perseguitare altre persone che si trovano in altri luoghi, a volte a grande distanza.

In pratica, è una particolare forma di fantasma che si materializza anche se la persona è ancora in vita.

Il termine Ikiryo è usato in contrasto con il termine Shiryo, che si riferisce, invece, allo spirito di un defunto.

Si dice che gli spiriti vendicativi dei vivi possano infliggere maledizioni (tatari) all’oggetto della loro ira trasformandosi in Ikiryō.

Ciò può capitare quando una persona prova un forte rancore e il desiderio di vendetta per una qualche ingiustizia subita. Allora l’anima può arrivare a separarsi, in parte, dal corpo per andare a perseguitare il nemico.

Si crede che anche la possessione sia un mezzo con il quale gli Ikiryō possono fare del male, mentre la persona posseduta è ignara di quanto sta accadendo. 

Tuttavia, secondo la mitologia, l’Ikiryō non agisce necessariamente per astio o vendetta.

Un altro caso di Ikiryo può avvenire quando una persona è molto malata o in coma; allora il suo spirito può manifestarsi accanto ai familiari. Coloro che ricevono la visita, hanno una premonizione metafisica della morte della persona in questione, prima che arrivino notizie concrete del suo decesso.

Manifestazioni di Ikiryō appartenenti a coloro la cui morte è imminente sono attestati in tutto il Giappone. 

Molti dei termini locali per definire gli Ikiryō sono stati raccolti da Kunio Yanagita e dalla sua scuola di folklore.

Nel Distretto di Nishitsugaru della Prefettura di Aomori, le anime delle persone prossime alla morte sono chiamate Amabito. Si crede che queste anime si allontanino dal corpo e vaghino, a volte producendo un suono simile ad una porta che si apre.

Nel Distretto di Kazuno nella Prefettura di Akita, un’anima che fa visita ai propri cari è chiamata Omokage, ovvero “reminiscenza, traccia”. Le fattezze sono le stesse di quando era in vita, compresi i piedi e il rumore di passi, diversamente dall’immagine tradizionale del fantasma Yurei, che è fluttua nell’aria.

Yanagita, scrive che nella regione di Tōno nella Prefettura di Iwate “i pensieri dei morti o dei vivi si fondono in una forma che cammina, e appare all’occhio umano come un’illusione che in questa regione è chiamata Omaku.”

Un esempio di questa credenza è quello che racconta di un’attraente ragazza gravemente malata di “male da freddo” (probabilmente febbre tifoide). La ragazza venne vista vagare nel cantiere di ricostruzione del tempio Kōganji a Tsujibuchi, nei giorni precedenti la sua morte.  Si crede che il tempio sia il luogo di riposo definitivo dello spirito, il quale vi trova il suo posto tra gli antenati.

Ci sono casi in cui l’Ikiryō appare come un’anima sotto forma di fiammella fluttuante, una sorta di fuoco fatuo conosciuto in Giappone come hitodama o hidama.

Lo studioso di folklore Ensuke Konno descrive casi di oggetti di colore giallastro iridescente simili a palloncini che fluttuano, presentandoli come presagi di morte.

I residenti di Aomori nel Distretto di Shimokita chiamano questi fenomeni tamashi, che significa “anime”.

Un caso di hitodama considerato da un folklorista come appartenente al discorso sugli Ikiryō si trova nel Tōno Monogatari. Si racconta di un individuo che, assistendo all’apparizione di un hitodama decide di seguirla. Giunge dalla persona vivente a cui appartiene, che afferma di aver vissuto l’intero avvenimento in sogno.

yureiNonostante gli Ikiryō siano generalmente spiriti umani che lasciano il corpo poco prima di morire, è possibile acquisire l’abilità di uscire dal proprio corpo volontariamente. 

Yanagita definisce il termine Tobi-damashi come l’abilità posseduta da certi individui di andarsene in giro per il mondo sotto forma di Ikiryō. 

Svolgere un rituale magico con l’intenzione di diventare un Ikiryō è definito ichijama.  

L’ushi no koku mairi, ovvero “visita nell’ora del bue” è un rituale che consiste nel piantare un chiodo in un albero sacro nell’ora del bue (dall’una alle tre di notte) per diventare un Oni. In seguito, con i poteri acquisiti, possono scagliare maledizioni e sfortune sul proprio nemico. 

Nel Genji Monogatari, il turbato Kashiwagi, temendo che la sua anima possa vagare, richiede che alcuni rituali siano eseguiti sul suo corpo per fermare questo processo nel caso in cui si verificasse.

Sempre nel Genji Monogatari, si narra di un noto episodio di Ikiryo (anticamente detto ikisudama).

La Dama Rokujō, amante di Genji, tormenta la moglie incinta, Aoi no Ue, causandone la morte per parto. Da questo episodio è stata tratta anche un’opera teatrale dal titolo Aoi no Ue.

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