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Il Culto dell’Orso

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Il culto dell’orso è stato praticato da diverse popolazioni in gran parte dell’emisfero boreale fin dall’epoca paleolitica. Le tracce più antiche si trovano nelle caverne abitate da uomini Cromagnon e Neandertaliani.

La cosa stupefacente è che, tutt’oggi, un antico popolo sopravvissuto alla civilizzazione ha conservato questa tradizione: gli Ainu. Grazie a loro possiamo conoscerla fin nei dettagli, facendoci così un’idea piuttosto precisa dei culti praticati dai nostri antenati. 

Gli Ainu, che una volta occupavano la parte settentrionale della principale isola di Honshu, vivono nelle isole settentrionali del Giappone – Hokkaido, Sakhalin e le Curili.

Questo popolo costituisce per l’antropologia un affascinante problema. Benché la loro struttura corporea somigli a quella dei Giapponesi, e benché cinquemila miglia di Mongolia li separi dalla più vicina popolazione caucasica, la loro pelle è bianca, i loro occhi sono caucasoidi e i loro capelli sono ondulati e abbondanti.

I loro orgogliosi e forti capi hanno lunghe barbe, larghi nasi e folte sopracciglia.

Le loro donne, molte delle quali sono sciamane, aumentano la loro naturale bellezza con baffi colorati di blu, tatuati sul labbro superiore all’età di tredici anni.

La teoria profana più accreditata sulla loro origine ipotizza che gli antenati degli Ainu, in tempi remoti e per ragioni oscure, si siano separati dal ceppo originario forse proveniente dalla Siberia e siano giunti in Giappone tra il XII-XI sec. a.C.  

La loro appartenenza ad uno dei ceppi etnici esistenti è da lungo tempo discussa.

Gli Ainu sembrano essere un popolo semi-nomade paleo-siberiano di pescatori e cacciatori, ma allo stesso tempo hanno anche alcune caratteristiche dei popoli neolitici di piantatori. Ad ogni modo la loro società ha una struttura tribale.

Il loro linguaggio non è stato classificato ed è in apparenza unico, benché sembri un componente arcaico del Giappone. Inoltre alcuni loro elementi mitologici e rituali hanno strette somiglianze con lo Shintoismo.

Uno dei tratti principali della cultura degli Ainu è l’animismo, dunque anche animali e oggetti vengono considerati divinità. 

L’orso è un dio della montagna, il gufo un dio del villaggio, il delfino un dio del mare. Anche gli alberi sono spiriti divini, e perfino gli utensili degli uomini possono avere una propria divinità se costruiti nel modo giusto.

Una spada, ad esempio, o persino un bastone, può avere una sua forza particolare e del tutto soggettiva, come emerge dai racconti relativi al Culto dell’Orso praticato da questo popolo.

Quando un cucciolo di orso nero è catturato sulle montagne, viene portato in trionfo al villaggio, dove viene accolto come un ospite di riguardo. Durante il primo periodo al villaggio, il cucciolo viene allattato da una donna, gioca con i bambini ed è trattato da tutti con grande affetto.

Quando il cucciolo diventa un po’ più grande, verso la fine dell’estate, ed inizia ad essere pericoloso, viene messo in una robusta gabbia di legno e alimentato per un paio di giorni con pesce e pappe di miglio, finché, in un giorno di settembre, si decide che è venuto il momento di liberarlo dal corpo e di rimandarlo felice nella sua casa di montagna. 

La cerimonia di questo importante sacrificio si chiama Iyomande, che significa “mandar via”. Anche se questo rituale comporta un certa crudeltà, il suo spirito è gioioso e si suppone che l’orso sia molto felice di affrontare il trapasso.

L’uomo incaricato della cerimonia chiama la gente del villaggio dicendo: «Io, tal dei tali, sto per sacrificare il caro essere divino che viene dalle montagne. Amici e maestri, venite alla festa! Godiamoci insieme i piaceri dello Iyomande! Venite! Venite tutti!».

Gli ospiti arrivano, e vengono preparati alcuni bastoni sacri (inao: portatori di messaggi), lunghi da 60 a 150 centimetri, tagliati in modo da lasciare dei trucioli ad un’estremità. I bastoni vengono conficcati nel terreno davanti al focolare della casa, dove la dea del fuoco Fuji (nonna, antenata) è sempre presente a guardia della casa, e qui vengono venerati.

Al termine, vengono riportati fuori e di nuovo piantati nel terreno, nell’area in cui si effettuerà la cerimonia. Tra i vari bastoni, ne spiccano due, lunghi e grossi, noti come ok-numba-ni, (i pali per lo strangolamento).

Gli uomini si avvicinano alla gabbia dell’orso, mentre le donne e i bambini li seguono danzando e cantando, finché l’intera compagnia si siede in circoli davanti all’orso.

Allora un uomo, avvicinandosi alla gabbia, rende noto al piccolo dio che cosa sta avvenendo. «O Divino, tu sei stato inviato in questo mondo perché noi ti catturassimo. Quando salirai tra gli dei, parla bene di noi e racconta loro come siamo stati gentili. Ti prego, ritorna tra noi, e noi di nuovo ti faremo l’onore di un sacrificio».

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Il Sacrificio dell’Orso praticato dal popolo degli Ainu in Giappone

L’orso, legato con corde, viene condotto fuori dalla gabbia e fatto camminare in circolo fra la gente.

Piccole frecce di bambù spuntate chiamate hepere-ai (frecce del cucciolo), recanti disegni geometrici bianchi e neri vengono scagliate contro l’animale, finché questi diventa furioso.

Allora l’orso viene legato ad un palo decorato, due giovani gli afferrano la testa mentre un terzo gli infila un pezzo di legno fra le mascelle.

Altri due giovani gli tengono le zampe posteriori. Uno dei “pali per lo strangolamento” viene posto sotto la gola dell’orso, l’altro sopra la nuca.

Un uomo, buon tiratore, colpisce il giovane orso al cuore con una freccia, in modo da non far cadere gocce di sangue a terra; infine i pali vengono stretti l’uno contro l’altro e la vittima muore.

La testa dell’orso viene staccata con l’intera pelle, portata in casa e sistemata fra bastoni sacri e vari doni alla finestra orientale, dove può assistere alla festa.

Sotto il muso, viene posto un pezzo della sua stessa carne, insieme con pesce secco, pasta di miglio, una coppa di sake o di birra ed un piatto di stufato fatto sempre con la sua stessa carne.

Quindi viene pronunciato un altro discorso. «O cucciolo, ti offriamo questi bastoni sacri, questa pasta e questo pesce secco, e tu portali ai tuoi genitori. Va’ dritto da loro senza bighellonare, o qualche diavolo ti ruberà questi doni. E, quando arriverai, di’ ai tuoi genitori: “Io sono stato nutrito a lungo da un padre e da una madre Ainu, che mi hanno trattato bene. Poiché sono cresciuto, ora sono ritornato, e ho portato questi bastoni, questi dolci e questo pesce. Siate contenti!”. Se tu, cucciolo, dirai così, essi saranno felici.»

La festa viene celebrata con danze, e la donna che ha allattato l’orso alternativamente piange e ride, insieme con alcune vecchie che hanno un tempo allattato altri orsi e che conoscono quei sentimenti ambivalenti.

Nel frattempo vengono preparati altri bastoni sacri e posti sulla testa dell’orso, a cui viene offerto un altro piatto di stufato.

Quando si avvicina il momento conclusivo, l’uomo che presiede la festa dice: «Il piccolo dio è finito; andiamo a onorarlo!». Egli prende il piatto, lo riverisce e divide il contenuto fra i partecipanti, una piccola porzione ciascuno.

Dopo, vengono mangiate anche le altre parti dell’orso, mentre alcuni uomini bevono il suo sangue per diventare più forti e se ne versano un po’ sui vestiti.

La testa dell’orso viene separata dal resto della pelle e, dopo essere stata posta sopra un palo chiamato ke-omande-ni, (il palo del congedo), viene messa tra i numerosi crani delle precedenti cerimonie.

La festa continua finché ogni parte del piccolo dio vieni consumata, anche per qualche giorno.

Quando un orso selvatico viene ucciso sulle montagne, esso è portato nella casa del cacciatore con tutti gli onori; non passa però attraverso la porta, ma attraverso la cosiddetta “finestra del dio”, e tale entrata è nota come “l’arrivo del dio”.

Si crede che la vecchia dea del focolare, Fuji, che protegge il fuoco al centro della casa, dia da lontano il benvenuto all’ospite. Da quel momento, il dio e la dea cammineranno insieme.

Il popolo canta e suona, nel frattempo, per intrattenerli, e il giorno successivo cuoce e mangia l’orso. Vengono fatte offerte alla sua testa, che è messa al posto d’onore, e poi ci si congeda ritualmente dalla divinità, che ritornerà sulle sue montagne.

Il meraviglioso monte Fuji, la montagna sacra del Giappone, è un vulcano estinto il cui nome, benché in giapponese significhi variamente “la montagna dell’abbondanza”, “l’incomparabile” o “l’impareggiabile”, è quasi certamente di origine Ainu e si riferisce alla omonima divinità del fuoco.

Questa divinità del fuoco, Fuji, detta anche “l’antenata” e “la protettrice della casa”, corrisponde in qualche modo alle statuette muliebri trovate nelle dimore dei cacciatori di mammut nell’era paleolitica, anch’esse erano le custodi del focolare.

Nelle case degli Ainu vi è un posto, nell’angolo sacro a nordest, dietro i cimeli di famiglia, dove viene tenuto uno speciale bastone sacro, cche reca un piccolo taglio in cima che rappresenta una bocca. Esso è noto come chisei koro inan (custode ancestrale della casa), e a lui ci si rivolge come allo sposo della dea del fuoco.

Nel villaggio di Kostenki, in Russia, noto per l’elevata concentrazione di reperti archeologici risalenti all’Homo Sapiens, furono trovate tre statuette femminili spezzate, sistemata anch’esse nell’angolo nordest dell’abitazione.

Segni di un culto paleolitico dell’orso sono stati trovati in tutta la regione artica: dalla Finlandia alla Russia settentrionale; dalla Siberia all’Alaska e dal Labrador alla Baia di Hudson. Tra i Finni e i Lapponi, gli Ostyak e i Vogul, gli Orotchi del fiume Amur, i Gilyak, i Goldi e le popolazioni della Kamchatka; fra i Nootka, i Tlinkit, i Kwakiutl e gli altri popoli della Costa nord-occidentale americana; e fra gli Algonchini della regione nord-orientale.

La memoria va anche al racconto degli Indiani Kaska della Colombia Britannica, in cui l’uccello rubava la pietra focaia all’orso.

E così si delinea un continuum circumpolare di una civiltà della caccia, facente come da contrappeso a quell’ampia fascia equatoriale di una cultura dei piantatori. E come qui si può andare indietro nel tempo forse fin ca. al 7500 a.C., all’alba del proto-neolitico.

Ma si può retrocedere ancora… Nelle Alpi, nei pressi di San Gallo in Svizzera, e vicino a Velden in Germania, sono state trovate caverne contenenti crani di orsi sistemati in modo rituale, risalenti al periodo dell’Uomo di Neanderthal.

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