La danza del bufalo è un mito tramandatoci dagli Indiani Piedineri del Montana, la cui sopravvivenza dipendeva interamente dall’arrivo e dalla partenza delle grandi mandrie di bufali.
Uno dei loro sistemi per ucciderne un gran numero consisteva nell’attirare gli animali sopra un dirupo e farli precipitare.
Questo sistema fu usato anche in Europa dalle popolazioni primitive, come attestano le pitture rupestri delle grandi caverne, ca. 30.000-10.000 a.C., in cui sono dipinte pitture di sciamani mascherati che attirano i bisonti con una danza.
La sera della vigilia della caccia al bufalo, il capotribù estraeva la pipa e pregava il Sole per aver successo.
La mattina successiva, l’uomo si svegliava molto presto e diceva alle mogli di non lasciare la tenda e neppure di guardare fuori finché egli non fosse tornato; esse dovevano bruciare determinate erbe e pregare il Sole per il suo successo e per la sua salvezza.
Poi, senza mangiare né bere, si recava nella prateria, seguito dagli uomini che si nascondevano dietro le rocce e i cespugli, che formavano una strettoia a forma di V.
Il capotribù, che indossava una testa ed una pelle di bufalo, si avvicinava agli animali. Giunto vicino alla mandria, si muoveva in modo da attirare l’attenzione di qualche bufalo e, quando questi incominciavano a seguirlo, s’incamminava lentamente verso la trappola a forma di V.
Di solito i bufali si adeguavano al suo passo, che l’uomo aumentava un po’ alla volta.
Infine, quando i bufali erano ormai dentro la trappola, tutti gli uomini sbucavano da dietro le rocce e si mettevano a gridare e ad agitare le vesti. Ciò spaventava i bufali, che si spingevano l’un l’altro e si mettevano a correre verso l’inizio del burrone.
Quando lo raggiungevano, quasi tutti vi precipitavano nel dirupo e di solito anche l’ultimo bufalo finiva per cadere.
Molti morivano subito per la caduta, altri riportavano fratture alle gambe e alle ossa, ma altri ancora rimanevano incolumi. Un recinto, però, impediva loro di fuggire, e tutti venivano uccisi dalle frecce degli Indiani.
Si dice che esistesse anche un altro modo per far cadere in trappola i bufali.
Un uomo che era assai abile nell’attirare gli animali, usciva senza mascheramenti e, mettendosi di fronte alla mandria, appariva e scompariva per indurre i bufali a seguirlo e a finire nella trappola fra le rocce.
Una leggenda dei Piedineri racconta che, molto tempo fa, i cacciatori, per qualche ragione, non riuscivano più ad indurre gli animali a seguirli e quindi soffrivano la fame.
I bufali si avvicinavano al precipizio, ma, a quel punto, girando a destra o a sinistra, scendevano dai pendii e ritornavano nella vallata. Perciò la gente era affamata e la loro situazione era grave.
Fu così che, una mattina, quando una giovane donna andò a prendere acqua e vide una mandria di bufali nella prateria, vicino al precipizio, gridò: «Oh, se cadeste giù, io sposerei uno di voi!» Si trattava di un modo di dire scherzoso.
Perciò la sua meraviglia fu grande quando vide gli animali correre verso la roccia e precipitare.
E fu terrificata quando vide un grosso toro che saltava con un balzo il recinto e si avvicinava a lei. «Eccomi qua» egli disse, e la prese per un braccio. «Oh, no!» essa gridò, indietreggiando. «Ma tu hai detto che, se i bufali fossero caduti giù, ne avresti sposato uno. Guarda! Il recinto è pieno». E, senza indugiare, la portò con sé nella prateria.
Quando gli uomini ebbero ucciso tutti i bufali e tagliato la loro carne, cercarono la giovane donna. I suoi parenti erano molto tristi, e suo padre, che aveva preso arco e frecce, e disse: «Andrò a cercarla».
Così si recò sulle rocce e poi nella prateria. Giunto a una notevole distanza, capitò in uno stagno dove i bufali andavano a bere e a fare il bagno. E lì vide una mandria. Essendo stanco, si sedette vicino allo stagno per riflettere sul da farsi.
Mentre stava pensando, un meraviglioso uccello bianco e nero con una lunga coda – una gazza – si posò vicino a lui. «Sei un grazioso uccello» disse l’uomo. «Aiutami! Volando intorno, cerca mia figlia e, se la vedi, dille che suo padre è in attesa presso lo stagno».
La gazza volò sopra la mandria e, vedendo una giovane donna fra i bufali, si posò vicino a lei e incominciò a beccare qua e là; poi, quando le fu accanto, le disse: «Tuo padre ti sta attendendo presso lo stagno».
«Shh-shh!» sussurrò la ragazza, spaventata, e si guardò attorno, perché suo marito, il toro, dormiva lì vicino. «Non parlare a voce alta! Torna indietro e digli di aspettare.»
All’improvviso il toro si svegliò e disse alla moglie: «Vai a prendermi un po’ d’acqua.» La donna ne fu felice e, prendendo un corno dalla testa del toro, andò allo stagno. «Padre!» disse. «Perché sei venuto? Sarai sicuramente ucciso».
«Son venuto a riportare mia figlia a casa» rispose l’uomo. «Andiamocene subito via!». «No, non ora!» replicò la ragazza. «Ci inseguirebbero e ci ucciderebbero. Aspettiamo che il toro si addormenti ancora; poi tenterò di venir via».
Essa tornò dal toro, con il corno pieno d’acqua. Egli bevvi un po’ e disse: «Qui intorno c’è un uomo.» «No, nessuno!» rispose la donna. Ma il suo cuore sussultò. Il toro bevve un altro po’, poi si alzò e muggì. Che terribile suono!
Gli altri tori si alzarono, scossero le code e le grandi teste, e muggirono anche loro. Quindi scalpitarono e corsero in tutte le direzioni.
Giunti allo stagno, scoprirono il poveruomo che era venuto a cercare la figlia. Lo calpestarono con gli zoccoli, lo colpirono con le corna e di nuovo lo calpestarono, cosicché di lui non rimase nemmeno un pezzetto.
Allora la figlia gemette: «Padre mio! Padre mio!». «Ah!» disse il toro. «Ti stai lamentando per tuo padre. Forse, ora capirai che cosa proviamo anche noi. Hai pur visto le nostre madri, i nostri padri, molti nostri parenti, precipitare dalle rocce e venire uccisi dalla tua gente. Ma io avrò pietà di te: ti darò una possibilità. Se riuscirai a riportare in vita tuo padre, tu e lui potrete tornare a casa vostra.»
La donna si rivolse alla gazza: «Abbi pietà, aiutami! Vai a cercare tra il fango qualche pezzetto del corpo di mio padre e portamelo qui».
La gazza volò rapida allo stagno, cercò dappertutto, sollevò il fango con il suo becco aguzzo e, alla fine, trovò qualcosa di bianco. Gli tolse il fango appiccicato e scoprì un pezzetto di vertebra. Con esso tornò dalla giovane donna.
Essa posò l’osso sul terreno e, copertolo con la veste, intonò un canto. Togliendo la veste, vide il corpo del padre che giaceva morto. Lo coprì di nuovo, intonò ancora il canto e, quando tolse la veste, suo padre stava respirando; poi si alzò. Il bufalo era stupefatto.
La gazza era felice, volando intorno, si mise a cantare. «Abbiamo visto cose strane» disse il toro agli altri bufali. «L’uomo che abbiamo ucciso e fatto a pezzetti, è ancora vivo. Il potere degli uomini è davvero grande».
Quindi si rivolse alla donna: «Prima di andartene con tuo padre, ti insegneremo la nostra danza e il nostro canto. Non dovrete dimenticarli».
Infatti, questi erano gli strumenti magici con cui i bufali uccisi dagli uomini tornavano in vita, proprio come l’uomo ucciso dai bufali era risuscitato. Tutti i bufali danzarono e intonarono un canto, che era lento e solenne come il loro carattere, e i loro passi erano gravi e ponderati.
Quando la danza fu terminata, il toro disse: «Ora tornate a casa e non dimenticate ciò che avete visto. Insegnate questa danza e questo canto alla vostra gente. Oggetti sacri del vostro rito saranno una testa e una pelle di bufalo, che saranno indossati dai danzatori».
Il padre e la figlia tornarono al campo. Il popolo fu felice di vederli e riunì il consiglio dei saggi.
L’uomo spiegò che cos’era accaduto e i capi scelsero un certo numero di giovani cui insegnare la danza e il canto dei bufali. Ed ecco in che modo fu organizzata per la prima volta, tra i Piedineri, la società di uomini chiamata I-kun-uh’-kah-tsi (tutti compagni).
La sua funzione era di regolare la vita cerimoniale e di punire le offese contro la comunità.
Ed essa rimase in funzione fino a che il «cavallo d’acciaio» attraversò la prateria, i bufali scomparvero e i cacciatori si dedicarono alla coltivazione e ad altri lavori.
L’eroe liberatore e la figura centrale della nostra leggenda era la gazza, e noi possiamo facilmente riconoscere in essa la forma assunta dallo sciamano in una sua metamorfosi (khubilgan).
Infatti, la funzione sociale dello sciamano era quella dell’interprete e dell’intermediario fra l’uomo e i poteri nascosti della natura, e questa è appunto la funzione della gazza nel racconto.
Il ritorno in vita dell’uomo morto fu reso possibile dal ritrovamento di un pezzetto di osso. Senza di esso, non si sarebbe potuto far nulla.
Forse l’uomo avrebbe assunto qualche altra forma, come quella di uno spirito molesto e, quindi, quella di un bufalo, di un uccello o di qualcos’altro; ma il pezzetto d’osso aveva reso possibile il suo ritorno alla condizione precedente. Dunque è lo stesso uomo che ritorna in vita.
Gli animali della leggenda, rifiutandosi di cadere in trappola, agivano sotto la guida di un toro, il quale rappresenta una figura che svolge un ruolo importante nei miti dei cacciatori: quello dell’animale guida.
Oppure, utilizzando un termine filosofico (non così estraneo al pensiero primitivo come si potrebbe pensare), potremmo dire che quel toro rappresenta l’idea platonica della specie.
Esso è ben diverso dagli altri animali della mandria: è al di fuori del tempo e indistruttibile, mentre gli altri sono semplici ombre (come noi stessi), soggetti alle leggi del tempo e dello spazio.
Gli altri cadevano e venivano uccisi, mentre lui rimaneva illeso. Rappresenta dunque il principio o l’essenza da cui derivano le altre creature della sua specie.
Il fatto che le specie animali, diversamente dall’uomo, abbiano comportamenti innati stereotipati, le ha rese eccellenti simboli del mistero della permanenza nel cambiamento.
Ogni specie ha, per così dire, un’anima di gruppo. Per quanti individui siano abbattuti, altrettanti ne compaiono, e sono sempre gli stessi.
Poiché gli animali si buttarono nel precipizio quando lo volle la guida, la loro carne va considerata un dono “volontario”, o meglio che segue l’ordine della Natura, in cui una vita mangia l’altra, e la vittima offre la sua carne come cibo, in questo caso per l’umanità.
Dunque in questo caso uccidere non è considerato un atto crudele né criminoso.
Ma esiste un modo giusto e un modo sbagliato di uccidere.
La ragazza fece rivivere il padre per mezzo dell’osso ritrovato e, quando il toro vide che il potere degli uomini era così forte da riportare in vita i morti, rivelò la danza magica e il canto rituale del bufalo, attraverso cui gli animali uccisi potevano ritornare. Perché dove c’è magia, la morte non esiste.
E dove i riti della caccia vengono convenientemente celebrati dagli uomini, esiste un meraviglioso accordo magico tra le vittime e coloro che le devono uccidere.
La danza del bufalo, eseguita in modo giusto, assicura che le creature uccise offriranno soltanto i loro corpi, non la loro essenza, non la loro vita. E quindi essi potranno vivere di nuovo o, piuttosto, continuare a vivere, e ritorneranno nella stagione successiva.
La stessa caccia, pertanto, è un rituale sacrificale, un rito sacro, e non una semplice necessità terrena. E la danza e il canto magici rivelati dal toro fanno parte di questo rituale, proprio come le tecniche di caccia e di macellazione.
*Questo articolo è tratto dal libro Mitologia Primitiva di Joseph Campbell