Cos’è il Sabba delle Streghe
Il termine Sabba è etimologicamente identico alla parola Sabato, che deriva dalla parola ebraica shabbat, che significa cessare, smettere, e si sposa con un’antica tradizione riguardante la festa della Luna Piena, cioè quando la Luna cessa di crescere.
L’Antropologa Margaret Murray, invece, suppone che il termine derivi dal verbo francese s’esbattre, che significa scherzare, divertirsi. Secondo l’antropologa, questa definizione sarebbe da riferirsi alla gaiezza dei convegni stregonici.
In effetti nelle deposizioni delle imputate di stregoneria, il Sabba è definito in molti testi “Gioco di Diana”, oppure Diana è chiamata “Signora del gioco”, dove “gioco” traduce il latino ludus, nel significato di luogo dove s’impara o anche di passatempo dilettevole.
A riguardo la Murray riferisce la dichiarazione resa da una donna inquisita per stregoneria relativa al Sabba:
Per quelli che lo frequentano, il tempo trascorre così veloce tra ogni specie di divertimento che il ritorno a casa è proprio un dispiacere.
Secondo altre fonti, la parola Sabba deriva da Sabazio, o Bacco, divinità corrispondente al Dioniso dei greci, in onore del quale si celebravano i Baccanali, ovvero riti orgiastici. In effetti, nei Sabba vi era una forte componente sessuale.
Alcuni hanno interpretato i Sabba come una grandiosa Epifania delle forze vitali liberate, in cui le streghe rinnovavano e ripetevano la protesta di Lilith in qualità di prima moglie di Adamo.
Lilith, rifiutatasi di sottomettersi all’atto sessuale (sottomettersi letteralmente, cioè non voleva star sotto), fuggì sul Mar Rosso per accoppiarsi con dei demoni, rivelando così il proprio furore ma anche tutta la potenza ferina della sessualità femminile.
Mediante le confessioni estrapolate alle imputate sotto tortura, la Chiesa ottenne numerose prove concrete del fatto che le streghe si riunissero di notte, generalmente in luoghi solitari, nei campi o sui monti, per la grande cerimonia del Sabba.
L’Unguento Satanico
Nel corso del XVI e del XVII secolo, molte donne confessarono di essersi recate in volo ai Sabba e che anche qualche uomo vi prendesse parte.
Secondo queste deposizioni, uno o due giorni prima del Sabba, la strega riceveva l’intimazione di parteciparvi da parte di un demone appositamente delegato e, da quel momento, non avrebbe potuto astenersi dal partecipare.
Si racconta che, quando una strega era chiamata al Sabba, fosse impossibile trattenerla, in quanto capace di superare ogni ostacolo per rispondere alla chiamata del Diavolo.
Quando giungeva l’ora del convegno, la strega si sentiva chiamare dalla voce del demonio, apparentemente umana. Allora si ungeva con un unguento particolare la cui ricetta le era stata data dal Diavolo stesso.
Pare che l’unguento fosse ricavato dal grasso bollito di bambini non battezzati, rapiti e poi uccisi, oppure direttamente esumati dalle tombe.
I piccoli cadaveri erano messi a cuocere con sedano, aconito, fronde di pioppo e fuliggine, fino allo spappolamento della carne.
Quindi, la parte più solida veniva usata come unguento per le pratiche magiche e le metamorfosi, mentre quella più liquida veniva versata in un fiasco, pronta per essere bevuta.
La ricetta, ovviamente, varia a seconda delle testimonianze, comprendendo altri ingredienti, che vanno dalle piante commestibili come il pentafillo, a quelle psicotrope come il solanum niger, a ingredienti di origine animale come sangue di pipistrello e il grasso di maiale.
L’unguento satanico più noto è composto da grasso umano o di maiale e hashish, a cui vengono aggiunti un pizzico di fiori di canfora, di rosolaccio, semi di girasole pestati e radice di elleboro.
Il tutto veniva scaldato e poi assunto dalla strega che se lo strofinava dietro le orecchie, sul collo, sul torace, ma soprattutto sui seni e sui genitali, pronunciando irripetibili parole oscene e blasfeme.
L’unguento veniva strofinato sul corpo fino ad arrossare far bruciare la pelle, in modo da dilatare i pori per essere assorbito al meglio, ma anche affinché la pelle diventasse liscia e pronta alle carezze erotiche.
In pratica, l’unzione da parte delle streghe prima del volo al Sabba è stata interpretata come una metafora degli umori sessuali, ma poteva essere un’usanza concreta, in quanto era frequente l’utilizzo di piante psicoattive a scopi omeopatici e fitoterapici.
Le più conosciute appartengono al gruppo delle solanacee, una famiglia di erbe di cui molte sono commestibili, ma alcune contengono un alcaloide psicoattivo, la solanina, come ad esempio il Solanum.
Ad esempio la Solanum Dulcamara la cui assunzione provoca ansia, inquietudine, cefalea, senso di ebbrezza, eccitamento maniacale, ninfomania, sogni spaventosi, insonnia.
Di uso frequente era anche l’ Atropa Belladonna, detta Erba delle Streghe, da cui si ricava l’atropina.
Lo stesso vale per il Hyoscyamus Niger (gisquiamo nero), una pianta biennale europea, già nota nell’antichità con il nome di Apollinaris per la sua azione allucinante ed esaltante. Secondo le antiche credenze, quest’erba era in grado di provocare in chi l’assumeva il cosiddetto “spirito profetico”. In effetti, il termine Apollinaris deriva dal dio greco Apollo, di cui ricordiamo l’oracolo di Delfi, proferito dalle sacerdotesse.
La Datura Stramonium, nota coi nomi di Pane Spinoso oppure Erba o Artiglio del Diavolo, che provoca uno stato di stupore psichico, con amnesia retrograda e anterograda, con delirio simile a quello degli schizofrenici e con ebbrezza lucida.
L’oppio, estratto da teste immature di papavero, sviluppa un’azione morfinica, caratterizzata da allucinazioni spesso di carattere erotico, da delirio e successivo sopore e sonno.
Non dimentichiamo la famosa Atropa Mandragora, nota fin dall’antichità per le sue proprietà afrodisiache ed utilizzata per curare la sterilità. Inoltre, nel medioevo la radice di Mandragora era considerata una creatura a metà tra il regno vegetale e quello animale a causa delle sue sembianze antropomorfe. Secondo alcuni trattati, la sua assunzione permetteva addirittura di assumere sembianze animali.
Insomma, dopo queste considerazioni, non è tanto difficile credere che le streghe utilizzassero davvero qualche unguento magico, cosa che comunque non esclude affatto l’ipotesi di un atto masturbatorio.
Ad ogni modo, dopo essersi spalmata l’unguento, la strega era pronta per andare al Sabba.
Volo al Sabba
Quando una strega doveva recarsi al Sabba, la via naturale per uscire di casa non era certo la porta e nemmeno una finestra, bensì il misterioso cunicolo che fungeva da comunicazione abituale col cielo: il camino.
La strega si infilava su per il condotto e, dopo questa mirabolante performance, incontrava il demone che era passato a prenderla in forma di un’improbabile capro o ariete alato a cui saliva in groppa e via. In brevissimo tempo raggiungeva il luogo della riunione anche nei luoghi più impervi.
Con l’andare del tempo, pare che le streghe si emanciparono e non ebbero più bisogno che un demone galante le passasse a prendere, ma giungevano al Sabba in maniera del tutto autonoma, volando a cavallo della propria scopa.
A dirla tutta, i mezzi di trasporto utilizzati dalle streghe per recarsi al Sabba erano piuttosto variegati, includendo anche delle comode sedie oltre a pale e bastoni di sorta. Tuttavia, il mezzo di trasporto per eccellenza rimase sempre la scopa, che addirittura si evolse tecnologicamente restando al passo coi tempi.
Nelle raffigurazioni più antiche, la scopa era tenuta verso il basso, mentre nel XVI sec. era raffigurata rivolta verso l’alto. In alcune immagini c’è addirittura una candela accesa posta sul manico, forse come prototipo di fanale.
Ad ogni modo, anche questo dettaglio contribuì a conferire un aspetto ancora più sinistro al volo al Sabba.
Secondo alcuni autori, l’andare a cavallo di una scopa o di un bastone indicava l’atto della masturbazione femminile. Il bastone o manico rappresentavano, appunto, l’oggetto del desiderio.
Anche l’unzione preventiva sembra avvalorare questa tesi in quanto simbolicamente rappresenta gli umori sessuali.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che la scopa ha una valenza simbolica particolare in diverse culture.
In tempi antichi, nel nord Europa, la scopa era ottenuta tagliando un gambo di ginestra con un ciuffo di foglie alle estremità.
A questa pianta erano attribuite notevoli proprietà magiche relative alla fertilità, ma anche proprietà distruttive. Ad esempio, vi era la credenza popolare secondo cui spazzare la casa con un ramo di ginestra nel mese di maggio provocasse lo “spazzare via” il capo famiglia.
Odiernamente, in alcuni paesi d’Italia dove sopravvive il folklore, vi è la credenza popolare che la scopa spazzi i guai fuori di casa. Dopo aver spazzato i guai, occorre riporla con il manico appoggiato sul pavimento e le setole verso l’alto affinché li tenga lontani.
In alcune tradizioni popolari, la scopa veniva portata in processione, ornata di piume, monete d’oro, anelli e gioielli vari. Saltare su un manico di scopa, pare sia stato uno dei riti nuziali degli zingari.
Nonostante il valore simbolico della scopa, per attivarla in qualità di mezzo di locomozione, era necessaria una formula magica con cui farla partire. Tuttavia non c’era una formula prestabilita, così ogni strega, oppure ogni scopa, aveva la sua.
Al momento della partenza, alcune streghe basche recitavano come formula magica:
Emen Hetan, Emen Hetan! che significa: Qua e là, qua e là!
Margaret Murray, nel suo libro “Il Dio delle Streghe”, ci racconta che le streghe di Somerset dichiararono, nel 1664, di ungere la fronte e i polsi con un olio dato loro dal Diavolo e di essere poi trasportate al Sabba in assai breve tempo, recitando:
Thout, tout a tout, tout throughout and about!
Si narra che, nel 1527, Avellaneda, inquisitore della regione basca, poco prima della mezzanotte di un venerdì, mandò alcuni uomini in una locanda per catturare una strega.
La donna fu portata in una camera, ma si unse con l’unguento velenoso, si affacciò ad una finestra e chiese aiuto al diavolo il quale arrivò prontamente, prese la donna e la portò a terra, proprio sotto la finestra. Fu allora che uno degli uomini, terrorizzato, invocò il nome di Cristo, così la strega e il diavolo scomparvero all’istante. Qualche giorno dopo la strega venne catturata in un’altra città.
Nel 1558, lo scienziato e letterato napoletano Giambattista della Porta, osservò una strega che, dopo essersi spalmata un unguento, cadde in trance. Svegliatasi, affermò di aver volato, benché egli non avesse visto il corpo muoversi.
Nel 1609 durante una caccia alle streghe a Pays de Labourd, nella Francia, l’inquisitore Pierre de Lancre ottenne una confessione straordinaria.
Sotto tortura, la diciassettenne Maria Dindarte affermò che la notte del 27 settembre si era spalmata un unguento e aveva preso il volo.
Gerolamo Tartarotti, nel 1749, parla del volo notturno delle streghe come di un’illusione suggerita ad esse dal diavolo:
«Le donne credono di recarsi in volo al noce di Benevento, ma in realtà non si muovono da casa».
In Italia sono famose le bagiue liguri che gridavano grottescamente:
Vola vola mignattun, che tra en ua mi ghe sùn!
Ma volavano davvero?
Si narra che, nel 1527, Avellaneda, inquisitore della regione basca, poco prima della mezzanotte di un venerdì, mandò alcuni uomini in una locanda per catturare una strega.
La donna fu portata in una camera, ma si unse con un unguento velenoso, si affacciò ad una finestra e chiese aiuto al diavolo, il quale arrivò prontamente, prese la donna e la portò a terra, sotto la finestra.
Uno degli uomini, terrorizzato, invocò il nome di Cristo, al che la strega e il diavolo sparirono. Qualche giorno dopo la strega venne catturata in un’altra città.
Nel 1558, lo scienziato e letterato napoletano Giambattista della Porta, osservò una strega che, dopo essersi spalmata un unguento, cadde in trance. Svegliatasi, affermò di aver volato, benché egli non avesse visto il corpo muoversi.
Nel 1609 durante una caccia alle streghe a Pays de Labourd, nella Francia, l’inquisitore Pierre de Lancre ottenne una confessione straordinaria.
Sotto tortura, la diciassettenne Maria Dindarte affermò che la notte del 27 settembre si era spalmata un unguento e aveva preso il volo.
Gerolamo Tartarotti, nel 1749, parla del volo notturno delle streghe come di un’illusione suggerita ad esse dal diavolo:
Le donne credono di recarsi in volo al noce di Benevento, ma in realtà non si muovono da casa.
E dove Andavano?
Molto spesso, il luogo della Sabba era una radura che aveva al centro una grande pietra o un particolare albero, intorno ai quali si danzava.
Il Sabba più conosciuto e frequentato è certamente quello di Brocken o Blocksberg, nell’Harz, una delle regioni più aspre e selvagge della Foresta Nera, nella Germania occidentale.
Verso la metà del XVIII sec., i geografi che disegnavano le mappe di quella regione, non mancavano di disegnare anche delle streghe a cavallo della propria scopa.
In particolare la mappa di un ingegnere di nome L.S. Bestehorn pubblicata nel 1749, evidenzia proprio in mezzo alla carta il monte Brocken.
Disegnate sulla mappa, giungono dal cielo sei streghe a cavallo della loro scopa, provenienti da tutta la Germania.
La didascalia annessa alla carta, indica che lì vicino si trova il famoso “spiazzo delle Streghe”. Il Sabba si svolgeva vicino ad un altare consacrato ad un “falso dio dei pagani” e ad una fontana, ambedue usati durante le cerimonie diaboliche.
In Francia, le streghe dimostrarono di avere altrettanto buon gusto nella scelta dei luoghi del Sabba. Una descrizione del Sabba sul Puy de Dome, è opera di un consigliere del parlamento di Bordeaux del XVII sec. Florimond de Remond, nel suo libro “L’Antipapesse”.
Il Puy del Domè è un vulcano alto ben 1.465 metri, situato nel cuore del Massiccio centrale, nei monti Dôme, a una quindicina di chilometri dalla città di Clermont-Ferrand.
Attualmente è riconosciuto come Grand Site de France. Ci si può arrivare a piedi percorrendo la strada romana dal Passo di Ceyssat o in treno a cremagliera. In cima si trovano le rovine di un tempio gallo-romano dedicato a Mercurio.
Anche in Italia vi sono numerosi luoghi in cui si riteneva avvenissero dei Sabba.
Tra i più famosi vi è la cima del Tonale (TN), dove si racconta che migliaia di streghe si radunavano per compiere i loro riti.
Si narra che le Streghe, dopo aver confermato di non professare la nuova religione, vedessero comparire un magnifico destriero in groppa al quale raggiungevano la cima del monte.
Qui danzavano vestite di abiti leggerissimi, volteggiando graziosamente. Le loro danze erano accompagnate dal Dio delle Donne, che gli esponenti della nuova religione chiamavano Diavolo, il quale cantava:
Liru, liru, liru, Tepp Tepp!
A Portovenere, in provincia di La Spezia, lungo la strada che da Biassa porta a Schiara e a Monesteroli, c’è un grande masso detto il “Menhir del Diavolo”.
Le leggende raccontano che vicino al menhir, all’imbrunire, fosse possibile vedere gruppi di streghe che ballavano intorno al macigno.
Una storia recente narra di una fanciulla che, passando una sera accanto al menhir, fu colta da uno strano fremito e nel contempo udì un vociare di donne, delle risa e, nell’aria, una musica suggestiva che la spinse a ballare.
Ballò a lungo con euforia ed esaltazione e, solo quando fu notte inoltrata, uscì dallo stato di incantamento ritrovandosi infreddolita, distesa ai piedi del menhir.
Un altro luogo italiano rinomato per le adunanze stregonesche, è il famigerato Noce di Benevento, sebbene non è mai stato detto dove fosse esattamente questo albero.
Tuttavia, vi è un poemetto popolare ottocentesco edito a Napoli che si intitola “Storia della famosa noce di Benevento” raccolto da Giuseppe Cocchiara, che al noce e alle streghe dedica un intero capitolo del suo libro “Il paese di cuccagna”. Il poemetto comincia così:
Vicino alla città di Benevento
Vi sono due fiumi molto rinomati
Uno Sabato, l’altro Calor del vento;
Si dicono locali indemoniati,
Un gran noce di grandezza immensa
Germogliava d’estate e pur d’inverno;
Sotto di questa si tenea gran mensa
Da Streghe, Stregoni e diavoli d’inferno
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