dhyana

09.7 Dhyana: la Meditazione

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Cos’è il Dhyana

Nella filosofia dello Yoga, Dhyana è il settimo degli Otto passi descritti dal saggio Patanjali per raggiungere l’unione con il divino.

Dhyana corrisponde alla meditazione, ed è il passo precedente al Samadhi, ovvero l’unione del meditante con l’oggetto meditato, l’unione dell’Anima Individuale con l’Anima Universale.

Lo stato di coscienza corrispondente al Dhyana si può ottenere solo dopo che il precedente stato di Dharana è perfezionato.

Dharana, la concentrazione, presume uno sforzo e una partecipazione attiva per mantenere lo stato lo stato di coscienza assorbito in un unico punto. Da questo stato, la coscienza può fluire direttamente in Dhyana, ma è necessario che l’attenzione all’oggetto sia mantenuta senza più nessuna intenzione o sforzo.

Il preciso istante del passaggio da Dharana a Dhyana non può essere registrato dalla coscienza in quanto avviene come immersione e non come un salto.

Il momento in cui si capisce di essere in Dhyana è infatti l’esatto momento in cui si è usciti dalla meditazione.

Dato che il riconoscimento, è un processo mentale che etichetta le situazioni, nel momento in cui diventiamo consapevoli è automaticamente il momento in cui perdiamo lo stato.

Jangama Dhyana

Jangama Dhyana è un’antica tecnica di meditazione impiegata per il raggiungimento del Samadhi e la realizzazione del Sé. Oggi l’iniziazione alla tecnica è impartita da Shri Shivarudra Balayogi Maharaj.

L’espressione sanscrita Jangama Dhyana, coniata da Shri Shiva Balayogi Maharaj (1935-1994), indica una tecnica di meditazione che prevede la concentrazione, ad occhi chiusi, di mente e vista sullo spazio compreso tra le sopracciglia. Questo spazio è la sede in cui viene visualizzato il sesto Chakra.

Questa tecnica meditativa è alla base dell’insegnamento di Shiva Balayogi e di quello del suo discepolo diretto Shiva Rudra Balayogi (1954, -) per il raggiungimento della realizzazione del Sé.

Shiva Balayogi ne indicò il significato come “meditazione sull’esistenza eterna [del Sé]”.

La tecnica Jangama Dhyana è, a livello descrittivo, molto semplice.

Siedi con gli occhi chiusi.
Concentra mente e vista sullo spazio tra le sopracciglia.
Continua a guardare quel punto, concentrando l’attenzione.
Non ripetere alcun mantra o nome di divinità.
Non immaginare nulla.
Non aprire gli occhi prima del termine della meditazione.

 

Shiva Rudra Balayogi identifica il più grande segreto della meditazione nel non analizzare alcun pensiero o visione che potrebbero insorgere. Le visioni e le esperienze non sono considerate importanti; l’unico segno di progresso è una maggiore pace, fino al vuoto completo.

«Questa meditazione è un processo di purificazione, ma la purificazione non avviene tranquillamente. Durante la purificazione sopravvengono visioni e pensieri. È come quando lavi i panni e vedi lo sporco riversarsi nell’acqua. Nello stesso modo, quando la mente sperimenta la purificazione, si verificano pensieri e visioni. Ma questi si verificano solo per un momento per poi scomparire. Per questo dobbiamo essere particolarmente cauti perché, se stiamo guardando, la mente potrebbe facilmente farsi coinvolgere nei pensieri e, se si fa coinvolgere, può acquisire ulteriori impronte. Questa acquisizione è così impercettibile! Ecco perché è importante non analizzare i pensieri durante la meditazione; e questo spiega anche perché la completa pulizia della mente richiede tempo».

chakra 10

In questa tecnica è prescritta la concentrazione nello spazio tra le sopracciglia, che corrisponde ad Ajna Chakra, il Chakra detto Terzo Occhio.

Tuttavia, è possibile focalizzarsi su altri Chakra, la cosa importante è scegliere un centro e mantenerlo anche per le successive meditazioni.

Alcuni preferiscono concentrarsi nello spazio in mezzo al petto, corrispondente a Anahata, il Chakra del Cuore. 

Altri ancora preferiscono concentrarsi nell’addome, in corrispondenza di Manipura, il Chakra del plesso solare che corrisponde allo spazio compreso tra l’ombelico e la base della cassa toracica.

Dhyana nella Bhagavad Gita

Al Dhyana Yoga, l’unione con Dio attraverso la meditazione intensa, è dedicato l’intero sesto capitolo del Bhagavad Gita, che si compone di 47 versi.

  1. Shri Krishna disse: Chi compie il suo dovere senza aspettarsi una ricompensa terrena, è sia un Sannyasi che uno Yogi; ma non chi non compie il suo dovere o che si astiene da ogni attività.
  2. O Arjuna, devi sapere che il Sannyasa della rinuncia è anche lo Yoga dell’azione santa, perché nessuno può essere uno Yogi se non rinuncia ai suoi pensieri.
  3. Quando il saggio vuol salire alle altezze dello Yoga, egli segue il sentiero dell’azione; ma quando raggiunge lo Yoga, egli segue quello della quiete (della cessazione delle attività).
  4. Egli raggiunge le altezze dello Yoga quando arrende la sua volontà terrena: quando non è legato al desiderio di gratificazione dei sensi, e non è legato dalle sue azioni terrene.
  5. Con l’aiuto del Sé l’anima deve essere elevata dalla sua natura materiale e non si deve permettere all’anima di degradarsi. Perché l’anima può essere un’amica, o può essere una nemica.
  6. L’anima dell’uomo è la sua amica quando attraverso lo Spirito egli l’ha conquistata; ma quando un uomo non è signore della sua stessa anima, allora essa diventa il suo stesso nemico.
  7. Chi ha conquistato la sua mente, trascendendo la dualità di attrazione e avversione – al freddo o al caldo, nel piacere o nel dolore, nella gloria o in disgrazia – è fermamente stabilito nel Sé Universale (paramatma).
  8. Quando, contento per la sua conoscenza acquisita e per la sua esperienza diretta di realizzazione interiore, uno è il maestro della sua vita interiore (rimane tranquillo in ogni circostanza e i suoi sensi sono sempre sotto controllo), considera allo stesso modo una pepita d’oro o una zolla di terra; allora questi è detto uno yogi realizzato.
  9. Di molto superiore è colui che si comporta allo stesso modo con parenti, con amici o nemici, con le persone imparziali, quelle indifferenti o che lo invidiano, con i santi o i peccatori.
  10. Ogni giorno, lo yogi deve meditare sul proprio Sé: stando solo in un luogo appartato, con l’attenzione ferma dentro di sé, senza sperare nulla, senza desiderare nulla. [1]
  11. Egli deve trovare un posto puro ed un sedile che sia riposante, né troppo alto né troppo basso, con erba sacra (kusha) e una pelle (di daino) e un telo sopra.
  12. Quindi sedendo fermo in quel posto, controllando la mente e i suoi sensi, cercando di mantenere l’attenzione ferma, questi dovrebbe rimanere in questo stato meditativo di yoga (di unione con il Tutto), per purificare la propria mente.
  13. Con corpo eretto, testa e collo tranquilli e senza movimenti, con lo sguardo fermo, e non guardando in ogni direzione;
  14. con l’anima in pace, e senza paura, e forte nel suo voto di castità, completamente sottomettendo la mente, che egli si riposi la sua attenzione su di Me, il Dio Supremo.
  15. Lo yogi che, signore della sua mente, si dedica costantemente alla meditazione sul Sé, attinge alla pace perpetua, che è la Suprema Beatitudine che è in Me.
  16. Yoga è armonia. Non è per colui che mangia troppo, o che mangia troppo poco, o per colui che dorme troppo o troppo poco.
  17. Armonia nel mangiare e nel riposare, nel dormire e nel tenersi svegli: una perfezione in qualsiasi cosa si faccia. Questo è lo Yoga che allevia da ogni miseria.
  18. Quando la mente dello Yogi è in armonia e trova pace nello spirito interiore, quando tutti gli affannosi desideri sono spariti, allora egli è uno Yukta, uno in Dio.
  19. Così come una fiammella non sfarfalla in un posto senza vento, tale è l’attenzione ferma dello yogi che è nello stato meditativo dello yoga.
  20. Quando la mente è contenuta nella quiete dello Yoga, ed essendo purificata riesce a percepire il Sé e in esso trova piena soddisfazione,
  21. allora il ricercatore conosce la gioia dell’Eternità: una conoscenza percepita dalla ragione molto al di là di ciò che i sensi possono percepire. Egli dimora lì e non si muove dalla Verità.
  22. Egli ha trovato la gioia e la Verità, una visione per lui suprema. Egli è stabile: il più grande dei dispiaceri non lo muove.
  23. Essendo stabilizzato in questo stato, nessuna sofferenza lo può sconvolgere, perché non appena la sofferenza giunge viene dispersa. Sappi che questo è chiamato Yoga.
  24. Quando tutti i desideri sono stati abbandonati andando oltre i pensieri [2], la mente riunisce la moltitudine dei sensi erranti nell’armonia del raccoglimento,
  25. allora, con la ragione armata di determinazione, il ricercatore conceda serenamente la mente allo Spirito e tutti i suoi pensieri diventano silenziosi.
  26. E se mai la mente instabile e irrequieta erra lontano dallo Spirito, che egli la riconduca nuovamente allo Spirito.
  27. Così la gioia suprema viene allo Yogi, il cui cuore è in silenzio, le cui passioni sono in pace, che è puro dal peccato, che è uno con Brahma, con Dio.
  28. Lo Yogi, che costantemente fa esperienza della realizzazione del Sé (meditazione), è liberato da ogni impurità, e ben presto realizzerà la gioia dell’Eternità, l’infinita gioia dell’unione con Dio.
  29. Egli vede se stesso nel Sé di tutti gli esseri e vede tutti gli esseri nel suo Sé. Questa è la visione dello Yogi in armonia, la visione dell’Unità.
  30. Mi vede ovunque e vede tutto in Me: Io non sono mai dimenticato da loro ed Io mai Mi dimentico di loro.
  31. Lo yogi che, stabilizzato nell’unione con Me, Mi adora in tutti gli esseri come loro vero Sé, in qualunque circostanza si trova risiede in Me.
  32. O Arjuna, se comparato con il Sé uno considera tutto allo stesso modo, sia nella buona che nella cattiva sorte, un tale yogi è considerato il più elevato.
  33. Arjuna disse: Tu mi hai parlato di uno Yoga di costante unità, o Krishna, di una comunione che è sempre una. Ma la mente è incostante: nella sua irrequietezza io non posso trovare pace.
  34. O Krishna, la mente è inquieta, impetuosa, ostinata, dura da educare: dominare la mente sembra essere così difficile al pari del dominare i possenti venti.
  35. Shri Krishna disse: La mente è invero agitata, o Arjuna, è davvero difficile da padroneggiare. Ma può essere controllata con una pratica costante e con il distacco dalle passioni.
  36. Lo Yoga è difficile da raggiungere da chi non ha la mente sotto controllo; ma Io credo che possa essere raggiunto da chi si sforza con pratica costante di tenere la propria mente sotto controllo.
  37. Arjuna disse: E se un uomo si sforza, fallisce e non raggiunge la perfezione dello Yoga, perché la sua mente non è ferma nello Yoga, eppure ha fede, che fine farà, o Krishna?
  38. Lontano dalla terra e lontano dal cielo, vagando con i venti senza direzione, sparisce forse come una nuvola nell’aria, non avendo trovato il sentiero di Dio?
  39. Sii una Luce nella mia oscurità, Krishna: per favore dissipa il mio dubbio. Chi può dissipare questo dubbio se non Tu?
  40. Shri Krishna disse: Nè in questo mondo, né nel mondo celeste, questo potrà mai perire; poiché chi fa del bene, mio caro amico, non percorre mai il sentiero del male.
  41. Avendo fallito nel raggiungimento della realizzazione nello Yoga, questi dimora per innumerevoli anni nei luoghi dove si trovano coloro che hanno fatto del bene, e poi rinasce in casa di persone buone e grandi.
  42. Può persino rinascere in una famiglia di yogi, dove la saggezza dello Yoga risplende; ma nascere in una tale famiglia è un evento raro in questo mondo. [3]
  43. Comincia la sua nuova vita con la saggezza della vita precedente. Comincia a sforzarsi di nuovo, sempre in avanti, verso la perfezione.
  44. Poiché il suo desiderio e i suoi sforzi precedenti irresistibilmente lo spingono a cercare lo yoga, e tende ad andare oltre le parole dei libri sacri.
  45. E così lo yogi, volutamente sforzandosi di continuo, e avendo purificata l’anima dal peccato, raggiunge la perfezione attraverso molte vite e raggiunge il Fine Supremo.
  46. Sii uno yogi, Arjuna, perché lo yogi è superiore a coloro che seguono solo il sentiero dell’ascetismo, o della conoscenza, o dell’azione.
  47. E il più grande di tutti gli Yogi è colui che ha fede assoluta in Me, che ha sempre la sua attenzione interiormente rivolta verso di Me.

 

Note

[1] In questo capitolo Shri Krishna descrive la procedura della meditazione e lo stato della persona in meditazione nello stato di yoga; però non dice nulla su come si possa arrivare a questo stato, come ci si possa purificare. Molto più tardi Dnyaneshwar, commentando questo sesto capitolo, parlerà della Kundalini e della sua attività di purificazione del nostro essere; discorso che è portato avanti e approfondito in Sahaja Yoga.
[2] Praticamente si è nello stato di consapevolezza senza pensieri: nirvichara samadhi.
[3] A quei tempi.

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