mimamsa

02.5 Mimamsa

Attribuita a Jaimini, IV- III secolo a.C.

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Jaimini: vissuto tra il 300 e il 200 a.C., fu prima un allievo, quindi fondò la scuola della Mimamsa. E’ l’autore del Mimamsa-sutra.

Mimamsa: è una delle sei Darshana, insieme al Nyaya, al Vaisheshika, al Samkhya, allo Yoga, e al Vedanta. 

Significa riflessione profonda; si applica allo studio dei Veda e ha lo scopo di determinare il senso esatto della shruti e di trarne le conseguenze implicite sia nell’ordine intellettuale che pratico. 

Comprende gli ultimi due darshana (Mimamsa e Vedanta):

  • prima Mimamsa: Purva-Mimamsa o Karma-Mimamsa: riguarda il campo dell’azione, ed è l’indagine anteriore  
  • seconda Mimamsa: Uttara-Mimamsa o Brahma-Mimamsa o Vedanta: riguarda la conoscenza di Brahma (non di Ishwara), ed è l’indagine posteriore. E’ il Vedanta.

Quando si menziona la Mimamsa senza specificazioni ci si riferisce alla prima.

 

Metodo della Mimamsa: le opinioni errate su una questione vengono:

  1. sviluppate
  2. confutate
  3. al termine della discussione viene data la soluzione vera.

 

La natura degli argomenti trattati stabilisce le prove e le ragioni d’essere del dharma nella sua connessione con kayra, ciò che deve essere compiuto.

Pranama: mezzi di prova considerati nella Mimamsa, facili da conciliare in quanto non contengono nessuna contraddizione. Seguono le distinzioni fra i diversi tipi di prescrizioni o ingiunzioni; i più generici sono ingiunzione diretta e ingiunzione indiretta.

Brahmana: parte dei Veda che contiene i precetti

Mantra: parte dei Veda che contiene la formula rituale

La Mimamsa si riferisce al Brahmana pratico o mantra, quindi al modo di eseguire i riti e le condizioni della loro esecuzione, alle modalità riferite alle diverse circostanze, al significato dei simboli che intervengono in tali riti, e ai mantra che bisogna usare in ciascun caso determinato.

Mantra: azione che implica la teoria dell’associazione originaria e perpetua del suono articolato con il senso dell’udito.

Tratta un gran numero di questioni di giurisprudenza in quanto la legislazione è considerata essenzialmente tradizionale. 

Apurva: l’azione non porta in sé le sue conseguenze. Sono le condizioni stesse a far sì che l’azione possa produrre i suoi effetti solo in modo successivo. Tuttavia, perché un’azione possa essere causa, occorra che esista attualmente, e quindi il rapporto causale consiste nella simultaneità.

Se ci fosse un rapporto di successione sarebbe come se qualcosa che non esiste più producesse qualcosa che non esiste ancora, il che è ovviamente assurdo.

Dunque, perché un azione, che in sé è solo una modificazione momentanea, possa dare risultati futuri più o meno lontani, occorre che abbia, nello stesso istante in cui si compie, un effetto sussistente permanente che non è percepibile al momento ma solo successivamente. Tale effetto non percepibile e potenziale è chiamato apurva, in quanto è uno stato posteriore all’azione. 

L’effetto deve essere contenuto virtualmente nella causa, dalla quale altrimenti non potrebbe discendere, e può essere inteso sia come posteriore all’azione-causa, che come antecedente all’effetto. Anche quando un effetto segue immediatamente la causa nel tempo, l’Apurva è sempre necessaria in quanto vi è comunque successione.

L’Apurva sfugge alle limitazioni temporali, ma non alla durata in quanto rientra nel campo delle contingenze.

L’Apurva può sia aderire a colui che ha compiuto l’azione come elemento costitutivo della sua individualità incorporea e risiedervi finché essa durerà, sia uscire dai confini di questa individualità ed entrare nella sfera delle energie potenziali di ordine cosmico. 

Dopo essersi propagata fino ai confini ad essa accessibili, tornerà al suo punto di partenza sotto forma di una reazione della stessa natura dell’azione iniziale.

Poiché ogni azione (o più precisamente ogni manifestazione) rompe l’equilibrio, è necessario che vi sia la reazione, affinché tale equilibrio si ripristini. Tale reazione, essendo una conseguenza del tutto naturale dell’azione, non è affatto una sanzione, ed anzi in tale contesto non c’è nulla su cui possa far presa il punto di vista morale. 

Quando l’effetto torna al mandante, l’apurva torna anche ad assumere il carattere individuale e temporale.

Tuttavia, se il mandante non è più nelle stesse condizioni in cui era al momento dell’azione, la stessa reazione potrà raggiungerlo nel nuovo stato di manifestazione attraverso gli elementi che assicurano la continuità, ma a questo punto priva delle caratteristiche individuali.

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