I Pancha Tattva
Pancha Tattva: dal sanscrito paa + ca che significa cinque, e Tattva che significa verità o realtà. Nella tradizione Gaudiya Vaishnava, il termine Tattva si riferisce specificamente ai cinque aspetti di Dio o di Verità Assoluta.
I Tattva sono cinque radici da cui ha origine la formazione del mondo materiale, percepibile dai nostri sensi fisici.
I Tattva spiegano il processo di manifestazione del divino nel mondo materiale dove sono riconducibili a cinque Elementi: Aria, Acqua, Terra, Fuoco e Etere.
Essi sono i Pancha Tattva (Cinque Tattva): Chaitanya nel mezzo circondato da Nityananda, Gadadhar, Srivas e Adouetta.
Quando si parla dello sviluppo delle possibilità della manifestazione, o dell’ordine nel quale devono venire enumerati gli elementi che corrispondono alle varie fasi dello sviluppo (e tali sono appunto i Tattva), bisogna tenere conto che un tale ordine si riferisce ad una successione logica, traducendosi in un concatenamento ontologico reale.
In nessun modo è una questione di successione cronologica, in quanto essi esistono simultaneamente, come una gerarchia di funzioni, trasmutanti l’una nell’altra.
I Tattva, da un lato sono i principi della realtà, dall’altro sono stati e forme di esperienza. La sintesi suprema, sostanza di tutti i Tattva, non viene menzionata nella serie, in quanto conoscenza suprema onnicomprensiva.
I tre gruppi di Tattva possono essere messi in relazione con i tre mondi dell’induismo e con i primi tre strati dell’Atman.
Dal punto di vista della Shakti, questi stati vengono detti di sonno, sogno e veglia: la Shakti si desta e il processo si svolge fino alla forma-limite, ovvero a quello dell’IO contrapposto ad un NON-IO.
- para samvid (sintesi suprema) – turiya
- arupa (libero dalle forme) – vaishvanara – sonno
- rupa (mondo delle forme pure) – taijasa – sogno
- sthula (mondo della materia) – prajna – veglia
Il numero dei Tattva varia a seconda della scuola filosofica.
Nel Samkhya sono 24 più 1 rappresentato da Purusha.
Nello Shivaismo ne vengono contati 36, e sono divisi in tre categorie: Puri, Puri-Impuri e Impuri (la categoria degli Impuri comprende i Tattva contemplati nel Samkhya).
Le cinque categorie pure o dell’Unità
Shiva e Shakti. Pur essendo contati come due Tattva distinti, sono due principi inseparabilmente connessi, che formano l’unità dinamica della manifestazione.
Fecondata dal principio di Shiva, la Shakti si desta. Ciò comporta una sorta di negazione dell’essere, lo sprofondare in una soggettività di autopercezione, uno stato di “rapimento in se stesso”.
Tale è la radice del desiderio, sensazione che va a determinare la negazione come mancanza. La funzione della Shakti è la negazione. L’essere guardato cessa di essere IO e diventa ALTRO. Sorge così l’elemento dell’oggettività.
Sadashiva: Shiva Eterno. Rappresenta il sorgere della dualità: oggetto e soggetto si trovano uno di fronte all’altro, in pieno equilibrio.
Ishvara: il Signore. La radice “īś” possiede il significato di “possedere”, “governare”, “comandare”. E’ il Demiurgo o il Logos personificato, la Coscienza Assoluta del B
rahman, il Signore della manifestazione che controlla e sostiene il Creato, o il Nous, la Mente Cosmica, Colui che provvede alla creazione dei mondi, al loro mantenimento e alla loro dissoluzione.
Shuddha Vidya: Sapienza Pura. E’ uno stato di conoscenza pura.
Le categorie pure-impure o della dualità
Maya: illusione cosmica. La differenza prevale sull’identità e il contenuto dell’esperienza diventa autonomo, scindendosi nei tre aspetti di conoscente, conosciuto e conoscenza.
L’uno (bindu) attraverso la diade (Maya) diventa triade (tribindu).
A partire da questo livello avviene uno sdoppiamento: la serie spirituale sotto il principio shivaico, e la serie reale o materiale sotto il principio shaktico.
I tre Guna. Sono le modalità della Shakti (nel Sankhya sono le modalità di Prakriti), cioè le qualità costitutive nell’indifferenziabile primordiale, nella condizione di perfetto equilibrio.
Ogni manifestazione o modificazione della sostanza costituisce una rottura di tale equilibrio. Gli esseri, nei loro differenti stati di manifestazione, partecipano dei 3 Guna in gradi diversi.
Dunque, i Guna sono le condizioni dell’esistenza universale a cui sono soggetti gli esseri manifestati. Occorre aver cura di distinguerli dalle condizioni specifiche che determinano tale stato (ad esempio spazio e tempo).
I tre Guna sono:
- Sattva: conformità all’essenza pura dell’Essere (Sat). Designa il modo di tutto ciò che riflette la natura stabile dell’Essere e si identifica con la luce intelligibile o conoscenza, rappresentata come una tendenza ascendente. E’ in relazione con la natura shivaica.
- Rajas: impulso espansivo secondo cui l’essere si sviluppa in un certo stato e ad un determinato livello di esistenza. E’ il modo del dinamismo, del divenire, della trasformazione dell’espansione. E’ energia, vita, attività. Rajas può essere improntato dagli atri due Guna. Se è improntato da Sattva è una forza ascendente, espansiva, secondo cui l’essere si sviluppa in una data forma. Se è improntato da Tamas è una forza di dissoluzione.
- Tamas: l’oscurità che rappresenta l’ignoranza e che ha tendenza discendente. Esprime il modo di ciò che è fisso, nel senso di irrigidimento, automatismo. E’ una staticità disanimica, una forza di inerzia, un peso, passività verso se stessi, caduta, potere offuscatore e limitatore. Sotto il segno di Tamas vi sono i processi di esaurimento.
Dal gioco dinamico dei tre Guna deriva tutta la varietà degli esseri e degli aspetti del mondo.
Lo stato in cui i Guna sono in perfetto equilibrio non ha alcun divenire e può essere fatto corrispondere all’ultimo dei Tattva puri.
Quando avviene la rottura dell’equilibrio, i Guna danno luogo al mondo del divenire, che corrisponde al punto (bindu: vale a dire Uno, Unico, non separato) che si articola e si svolge a livello dei Tattva semi-puri.
Quando entra in gioco la funzione sdoppiatrice di Maya, si hanno due mondi paralleli, quello spirituale e quello reale, e i Guna sono attivi come potenza sia nella sfera intellettuale che in quella fisica.
I kankuka sono il dispiegamento, l’esplicazione, di quanto contenuto in Maya-Shakti e sono concepibili come cinque guaine.
- Kala: il tempo. E’ la forma generale di tutto ciò che si presenta in successione.
L’Atma non potrà mai trovarsi interamente nelle forme particolari e finite di una data condizione di esistenza, così sarà condotto da un’esperienza all’altra, in un succedaneo della totalità che non può possedere la simultaneità.
- Raga: attaccamento passionale. Ogni stato particolare appare a se stesso come insufficiente, quindi sentirà il bisogno di altro per completarsi.
La coscienza viene spinta verso quello e quell’altro in una successione temporale, creando un sistema di dipendenze derivanti dalla casualità e dalla irreversibilità, poiché ogni punto nel tempo è doppiamente condizionato dall’antecedente e dal conseguente.
La coscienza si tende, spinta dalla sete di assoluto.
- Avidya: la sapienza limitata, ovvero l’ignoranza. L’IO genera il desiderio che nasce dalla negazione, dall’ignoranza dell’altro (avidya).
L’azione condizionata dal desiderio conferma l’illusoria dualità, legando sempre di più l’IO a qualcosa che sembra diverso da lui.
- Niyati: la necessità. E’ la limitazione dell’autonomia determinata dal sistema delle relazioni.
- Kalà: il potere limitato dell’azione. Lo stato di finitudine si estende al potere, definendolo in una data condizione di esistenza e in un dato corpo.
L’onnisciente conosce la forma del piccolo conoscitore, la coscienza è alterata da complessi emotivi e tendenze congenite per tutto ciò che la lega al desiderio e all’impulso vitale.
La funzione di Maya è totalmente realizzata: particolarità, molteplicità (spazio), tempo, causalità, impulsi e azioni derivanti dallo stato di privazione esistenziale, condizionano ogni possibile esperienza.
I Tattva Impuri (Samkhya)
Purusha: lo spirito. E’ il Principio dell’Essere nell’individuo, complementare di Prakriti, che si può chiamare essenza. Nel Samkhya è il Primo Tattva, indipendente dagli altri 24.
Tutte le cose manifestate sono prodotte da Prakriti ma, senza Purusha, avrebbero un’esistenza illusoria.
I due principi, Prakriti e Purusha, non implicano dualismo: procedono entrambi dall’Essere Universale e ne costituiscono la prima distinzione.
Prakrti: la natura. E’ il Principio del divenire nell’individuo. E’ la physis dei greci. E’ la sostanza universale indifferenziata e non-manifesta in sé, da cui procede per modificazione la creazione di tutte le cose.
Buddhi: l’intelletto. E’ il primo prodotto di Prakriti. La Buddhi è il Grande Principio di ogni individuazione, è l’intelletto puro e trascendente in rapporto agli individui. Siamo già nell’ambito della manifestazione, ma ancora di ordine universale.
E’ il punto di intersezione fra ciò che è purushico-prakritico: è il sovra-individuale.
La coscienza individuale sorge quando Purusha (principio immutabile) viene gettato nella Buddhi (prodotto di Prakrti).
Tale coscienza non è né la stessa né diversa, ma semplicemente un suo doppio, soggetto al mutamento, che va a legare se stesso ad oggetti finiti.
Sul piano individuale è decisione, determinazione, deliberazione.
Ahamkara: senso dell’io, ego. Secondo prodotto di Prakriti. E’ la coscienza individuale che procede dal principio intellettuale attraverso una determinazione particolaristica, producendo a sua volta gli elementi successivi.
E’ definita dall’assunzione dei contenuti di una data esperienza interna o esterna. Per via di Ahamkara, l’esperienza viene sentita come “mia”, personale e soggettiva, e l’IO la assume come propria determinazione.
Manas: senso interno, mente, sentimenti. E’ la mente, non intesa psicologicamente, ma intesa come l’organo del potere che agisce nella percezione, nelle reazioni motorie e nella produzione di immagini (fantasie, immaginazioni).
Il Manas è la radice o principio dei vari sensi. E’ con il Manas che si vede, si ascolta, si gusta, etc.
Il Manas rende possibile la conoscenza percettiva in quanto entra in relazione con i Tanmatra che, per effetto della funzione sdoppiatrice di Maya, si presentano all’individuo in una duplice serie di rappresentazioni e impressioni soggettive (Nomi) della realtà esterna (Forme).
La corrispondenza tra le due serie è possibile tramite un’unità subordinata, un livello sovra-individuale che esiste nel Manas stesso.
Associato ad Ahamkara, il Manas ritaglia la totalità dell’esperienza, così che si prenda coscienza solo di alcune zone o sezioni di essa escludendone altre, che rimangono inconsce.
Tanmatra: potere di qualificazione e determinazione. La parola “matra” significa “misura”. I Tanmatra sono principi superfisici, anteriori o superiori alla realtà fisica e alle percezioni di essa.
Sono qualità sensibili del suono, della forma, del sapore, del contatto e dell’odore e la loro manifestazione corrisponde ai 5 Mahabhuta, i 5 Elementi.
Le impressioni sensoriali hanno un substrato reale corrispondente alla natura di tali impressioni, ma non hanno una portata puramente psicologica. Dunque, i Tanmatra devono essere considerati come i principi in atto negli Elementi, che corrispondono sia alle varie modalità della shakti che a forme di esperienze sovrasensibili.
Mahabhuta o Bhuta: sono i nostri 4 Elementi (Aria, Acqua, Terra e Fuoco) più un quinto, l’etere.
Nell’induismo è esplicito, però, che non ci si riferisce agli elementi fisici, ma alle loro apparizioni simbolico-analogiche nel piano materiale.
Solo quando il Manas si ritrae dall’esperienza sensibile, si possono percepire gli Elementi nella loro essenza. Ogni Elemento ha una sua proiezione.
I 10 Indriya: sono dieci poteri, intesi come facoltà legate agli organi di senso, per mezzo dei quali il Manas (la mente), associato all’Ahamkara (senso dell’Io), agisce ritagliando la realtà complessiva secondo la legge, la forma e il destino che definiscono un individuo.
I 10 Indriya si suddividono in due serie gemelle, la conoscenza e l’azione, entrambe legate allo stesso organo di percezione.
La progressione va sempre dall’interno verso l’esterno, quindi l’esterno poggia sempre sull’interno e ne è condizionato.
Così, gli oggetti della conoscenza dipendono dagli organi della conoscenza che a loro volta dipendono dall’organo interno che, a sua volta, deriva dal principio spirituale (Buddhi + Ahamkara + Manas).
Un esempio classico di questo sistema è la ruota: il cerchio è retto dai raggi che a loro volta hanno sostegno nel mozzo.
Quando l’energia arriva allo stato materiale (alla “terra”) si arresta e si fissa, giunge al limite del suo differenziarsi, e identificarsi. La Shakti giunge a Kundalini e si avvolge su se stessa (diviene dormiente).
L’uomo è Shakti nella sua duplice forma attiva e cosciente rispetto a se stessa (ciò che di solito viene chiamato spirito), ma anche passiva e inconscia.
L’inconscio corrisponde al macrocosmo, ovvero la forma secondo cui un essere finito sperimenta l’insieme delle potenze della realtà.
Esse costituiscono la corporeità occulta dell’uomo, con riferimenti ad elementi costitutivi presupposti ad ogni esistenza individuale, allo stesso modo in cui una mano, anche se fosse essa solo visibile, presuppone l’insieme dell’organismo.
Il sistema dei Tattva rende conto delle condizioni generali di una coscienza individuale in una data forma di esistenza, ma non spiega l’esistenza di una data coscienza individuale (Jiva).
Questo mondo non può che corrispondere a ciò che lo Jiva afferma o desidera nella sua volontà profonda.
I Samskara corrispondono ad una preformazione interiore, alla quale è ordinata la qualità discriminativa e individuante del Manas. Essi sono potenzialità subcoscienti, alcune di carattere organico, altre di carattere psichico.
Ogni individuo è quel che è per la presenza di un determinato gruppo di Samskara piuttosto che un altro (carattere intelligibile o noumenico), così i Samskara sono ciò che determina la situazione generale del singolo, nella sua particolarità.
Nella reincarnazione, i Samskara sono le ragioni, le cause, di quel che un essere finito è di fatto (corpo, mente, tendenze ed esperienze). In questo senso, i Samsara sono le conseguenze di forme anteriori di esistenze, tracce o abitudini create da una precedente attività.
Pertanto, i Samskara non hanno nulla a che fare col nucleo della personalità e l’individuo può liberarsene, per mezzo dell’autodeterminazione, che inizia con la non identificazione nell’IO e MIO.